54GMCS: Essere padri… Non è mai troppo tardi

venerdì 6 Marzo 2020
Un articolo di: Massimo Giraldi, Sergio Perugini

Gabriele Salvatores firma “Tutto il mio folle amore”, un road movie padre-figlio in cerca di riscatto. Il tema della disabilità è raccontato con rispetto e leggerezza. Un inno alla vita, alla famiglia che riparte. Proposta per la 54a Giornata delle comunicazioni

Una contagiosa leggerezza emana il film “Tutto il mio folle amore” di Gabriele Salvatores, il racconto di un ritrovarsi tra un padre e un figlio adolescente, tra un padre riluttante e un figlio con sindrome di Asperger. Presentato fuori concorso alla 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, “Tutto il mio folle amore” si ispira al romanzo di Fulvio Ervas, alla vicenda di Andrea e Franco Antonello.
Salvatores entra con rispetto in una storia delicata e la contamina con positività e buonumore, raccontandoci la bellezza dell’essere padri, del recuperare quel ruolo cui per paura o senso di inadeguatezza a volte si rischia di abdicare. La Commissione film della CEI ha scelto il film per approfondire il Messaggio di papa Francesco, “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia. Quando l’essere eroi rientra nella prassi del quotidiano, nell’abitare la famiglia con responsabilità, districandosi nelle non poche difficoltà che la società presenta.

Sulle note di “Vincent” di Don McLean
Filo rosso del film è la canzone “Vincent” – dai più ricordata come “Starry, Starry Night” – di Don McLean, brano dedicato al pittore Vincent van Gogh. Vincent (Giulio Pranno) è il nome anche del giovane adolescente con sindrome di Asperger, che vive nel Nord d’Italia con sua madre Elena (Valeria Golino) e il padre adottivo Mario (Diego Abatantuono). Vincent non ha mai conosciuto il suo vero padre, di lui ha solo note e parole della canzone di Don McLean. Il suo vero padre si chiama Willy (Claudio Santamaria) ed è un cantante spiantato che si esibisce tra Italia, Slovenia e Croazia; un artista vagabondo che non ha legami sentimentali, che è fuggito da tutto, compreso da suo figlio. Un padre inconsapevole e riluttante. Un giorno l’uomo, trovandosi nei paraggi, decide di fare visita proprio a quel figlio mai voluto e così scopre anche il suo autismo. Uno shock, ma neanche troppo. Per un susseguirsi di equivoci, quando Willy si rimette in viaggio per la sua tournée si ritrova Vincent nascosto in macchina, pronto a gettarsi in un’avventura on the road con il suo vero padre. È l’inizio di tutto, di un nuovo capitolo insieme, tumultuoso, concitato, ma anche gioiosamente travolgente.

Il bello di essere padri
Una bella sorpresa è stato alla Mostra del Cinema di Venezia 2019 il film di Gabriele Salvatores. In molti, tra gli addetti ai lavori, si erano domandati perché Salvatores fosse stato messo fuori Concorso visto il suo curriculum. Il regista napoletano, classe 1950, ha infatti una filmografia di tutto rispetto: dal premio Oscar “Mediterraneo” (1991) al bellissimo “Io non ho paura” (2003), ancora “Quo vadis, baby?” (2005), “Come Dio comanda” (2008) o il più recente “Il ragazzo invisibile” (2014). La motivazione forse risiede nel fatto che “Tutto il mio folle amore” non è un titolo da competizione, bensì un piccolo gioiello da valorizzare per i temi che affronta e che governa con grande luminosità.
Anzitutto c’è il rapporto padre-figlio, un ritessere un legame sfibrato o meglio mai vissuto. Willy è un papà latitante, che si è sottratto al suo ruolo, come anche a tutte le altre responsabilità della sua vita. È un cantante errante, un vagabondo della musica che ha eletto come casa balere e piccoli teatri. Sulla soglia dei quarant’anni, però, Willy capisce che tutto quel girare, al di là dei brividi che prova sul palco – ma quanto è bravo Claudio Santamaria, così credibile e accurato, anche nelle performance canore! –, non gli basta più. C’è uno spazio vuoto nel suo cuore, che ogni giorno diventa sempre più grande e rumoroso. Il sentimento genitoriale, paterno, preme, lotta per emergere. E così Willy va alla ricerca del figlio mai conosciuto.
Seconda pista narrativa poi è il tema della disabilità. La sfida di Willy non riguarda solo il recuperare il tempo perso come genitore, il riconquistare il dialogo e la fiducia con un figlio adolescente; è anche quella di capire come rapportarsi con un ragazzo Asperger che ha delle sensibilità diverse, di cui deve tener conto. Dunque è tutto un tentativo, un fare, un trovare i codici giusti di comunicazione, oltre che riuscire a suonare i tasti giusti del cuore.
Perché è un piccolo gioiello, una favola sociale, questo film “Tutto il mio folle amore”? Perché nell’affrontare questi temi Salvatores rifugge dagli stereotipi narrativi, soprattutto nel racconto dell’Asperger; ci mette davanti a una storia, a un’istantanea di vita, che però arricchisce con tonalità spensierate e luminose, quasi appunto da favola. Certo, il racconto non è privo di sbavature, rischiando con alcuni passaggi anche l’inverosimile, ma nell’insieme è un film pregiato e di grande qualità, che conquista con facilità per la tenerezza che infonde.
Oltre a uno strepitoso Claudio Santamaria, sono da ricordare le interpretazioni sempre ben calibrate di Valeria Golino e Diego Abatantuono. Il racconto però poggia tutto su Santamaria e il giovane esordiente Giulio Pranno, entrambi così credibili e coinvolgenti. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico per i temi affrontati e adatto per dibattiti.

In evidenza, un momento del film
“L’uomo è un essere narrante perché è un essere in divenire, che si scopre e si arricchisce nelle trame dei suoi giorni”. Così ci dice papa Francesco nel suo Messaggio. La storia di Willy e Vincent seppur in ritardo trova senso, tessitura. Le loro esistenze solitarie, separate, trovano il baricentro nell’incontro che mancava. Finalmente la parola famiglia diventa completa e Vincent sperimenta così l’amore genitoriale tutto, anche quello paterno di cui era privo, mutilato. Momento chiave del film è in verità il viaggio, che in ogni sussulto trova profondità, ma sempre con la cifra dell’umorismo gentile. Tutto, del viaggio, merita approfondimento: dall’incontro iperbolico sulla macchina, quando Vincent si rivela nell’abitacolo del furgone di Willy, al valicare clandestino il confine tra Slovenia e Croazia; ancora, l’autostop o la vibrante corsa in motocicletta, dove il padre insegna a Vincent a stare in equilibrio insieme. Con lo stesso ritmo.


Allegati

Tutto il mio folle amore

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