54GMCS: “Parlami di te”, se la malattia aiuta a ricentrarsi nella vita

mercoledì 13 Maggio 2020
Un articolo di: Massimo Giraldi, Sergio Perugini

“Parlami di te” (2019) di Hervé Mimran con Fabrice Luchini scelto dalla Cnvf per la 54a Giornata delle comunicazioni. Viaggio fisico e interiore verso la riconciliazione

Una vita al massimo, lavoro senza sosta, soddisfazioni notevoli, famiglia e relazioni però ai margini e poi il blackout: la malattia. Un inciampo, la velocità che si arresta di colpo e il bisogno disperato di rialzarsi, di imparare di nuovo a fare tutto. Come? Con l’aiuto dei propri cari, ancoraggio e rete di protezione nella caduta. È questo il filo rosso del bel film “Parlami di te” (“Un Homme Pressé”, 2019) di Hervé Mimran, interpretato con grande trasporto da Fabrice Luchini. L’opera si inserisce nel ciclo di proposte della Commissione nazionale valutazione film della CEI per riflettere sul Messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.

Una velocità che acceca
Alain (Fabrice Luchini) è un uomo di cinquant’anni dai modi asciutti e dalla vita disciplinata. La sua esistenza ruota tutta attorno al lavoro. È un manager di successo, a capo di un importante gruppo automobilistico francese, ed è visto da tutti come brillante e sempre sulla cresta dell’onda; a casa non lo si vede mai, a stento incontra la figlia Julia (Rebecca Marder), studentessa universitaria. Legami non ne ha, perché Alain è vedovo da anni e il lavoro è il suo rifugio. Corre veloce Alain, passa da una riunione all’altra, senza sosta. A fermarlo però un giorno arriva la malattia, un ictus, che lo costringe a un lungo riposo e a rimettersi in gioco con non poca fatica…

Ritrovarsi
Prende le mosse da una storia vera il film “Parlami di te” (“Un Homme Pressé”, 2019) di Hervé Mimran, quella del manager Christian Streiff, che viene raccontata nel romanzo autobiografico “J’étais un homme pressé”. Al cinema, cambiando un po’ le coordinate, la interpreta il sempre bravo attore Fabrice Luchini (classe 1951), noto al grande pubblico per “Molière in bicicletta” (2013), “La corte” (2015, Coppa Volpi alla Mostra del Cinema della Biennale Venezia) e “Alice e il sindaco” (2019). “Parlami di te”, muovendosi sul sentiero della commedia con sfumature drammatiche, di fatto ci mostra un’istantanea della vita odierna nelle grande metropoli, dalla velocità fagocitante. Una vita giocata soprattutto per il lavoro, l’efficienza, il guadagno, il continuo raggiungimento di obiettivi e traguardi. Una velocità spesso inebriante, ma se portata agli eccessi, allora si possono perdere le ascisse e le ordinate, deragliare rovinosamente. È proprio quello che succede ad Alain, manager capace, dai ritmi a perdifiato. Un giorno il suo corpo va in stallo, si blocca contro la sua volontà. Un ictus. Fortunatamente Alain non riporta danni invalidanti; si scopre però debole, smarrito e persino incapace di parlare. Emette infatti suoni scomposti. È costretto, controvoglia, ad affidarsi all’aiuto di un’ortofonista, Jeanne (Leïla Bekhti), con la quale impara a ritrovare la strada verso le parole, il controllo del linguaggio; fa fatica però Alain, perché tutto è più complicato e richiede un nuovo metodo, una nuova prospettiva. E questo nuovo sguardo è quello che serve in generale per imparare a riabbracciare la vita tutta. Scaricato dal lavoro – che oggigiorno è inclemente dinanzi a fallibilità e debolezze –, Alain si trova dentro un’ingombrante bolla di solitudine; capisce che deve recuperare, oltre alla parola, la strada del cuore, in primis quello di sua figlia. Per Julia, infatti, è sempre stato un padre presente nel denaro, ma assente affettivamente. A questo si aggiunge inoltre la paura del dolore, di provare sentimenti. Alain non è un avaro emozionale, al contrario, si è solamente chiuso in se stesso, per troppo dolore. La perdita prematura della moglie lo ha spinto a soffocare la sua rabbia e il suo scoramento, a incanalarla verso il lavoro. Così lavorare è diventato un salvagente, che però lo ha allontanato dal mondo fuori. A causa della malattia, ora Alain si trova a ripartire da capo, su tutti i fronti. E il regista Hervé Mimran decide di visualizzare questo nuovo stato, oltre che dal punto di vista medico (il ritorno alla parola) e sentimentale (riscoprire il bisogno di prossimità), anche con un confronto aperto con la Natura. Alain decide di sfidare se stesso e i suoi nuovi limiti mettendosi in viaggio lungo una delle rotte del Cammino di Santiago de Compostela. Un viaggio che si fa fisico e spirituale insieme, che apre alla riconciliazione. “Parlami di te” è senza dubbio un’opera valida, che si snoda tra umorismo gentile e dramma, e funziona soprattutto per la straordinaria prova di Fabrice Luchini, che sa esplorare con grazia e credibilità le diverse sfumature del personaggio, dell’animo umano; un interprete che fa vivere sul proprio volto gioia e smarrimento, paura e lampi di redenzione. Un attore con la maiuscola. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.

In evidenza, un momento del film
Non poche piste tematiche possiede la commedia “Parlami di te”, ben adatta per approfondire il Messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, “La vita si fa storia”. È il racconto di un uomo buono, perso e poi ritrovato; un uomo che ha scalato le vette del perdono personale, interiore, riconciliandosi con sé, con la sua famiglia e l’orizzonte. Un rinascere alla vita con altri occhi. Tra le sequenze da recuperare segnaliamo quella finale, lungo il Cammino di Santiago de Compostela, dove si registra la presa di coscienza di sé da parte di Alain, del nuovo sé. Un cammino che nasce solitario, ma che diventa poi affollato di tenerezza.


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