Carità nelle periferie dell’esistenza – Scheda n. 6, Firenze 2015

martedì 10 Novembre 2015
Un articolo di: Redazione

 Assopiti davanti al dramma della povertà

«Risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. (…) Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti» (Francesco, Misericordiae Vultus, 11 aprile 2015). Nella Bolla di indizione del Giubileo Straordinario della Misericordia papa Francesco ricorda alla comunità tutta un impegno costante e vigile verso l’altro, verso il prossimo in difficoltà, schiacciato dal peso della povertà e dall’emarginazione. Riflessione centrale nell’orizzonte del Nuovo umanesimo, nell’agenda del Convegno Ecclesiale Nazionale 2015 in corso questa settimana a Firenze.

 

Cinema vicino agli ultimi

Cinema d’impegno sociale, narratore di storie di ultimi e di esistenze ai margini della società. Lo sguardo dei grandi autori è da sempre pronto a raccontare le vite in difficoltà, segnate da povertà e indifferenza, dove spesso si affacciano testimoni del Vangelo per squarciare un orizzonte di speranza. Guardando alle uscite in sala negli ultimi anni possiamo ricordare certamente il poetico Still life (2013) di Uberto Pasolini o il vivace e problematico Trash (2014) di Stephen Daldry. Ancora, l’importante Cesare deve morire (2012) di Paolo Taviani e Vittorio Taviani, Orso d’oro e Premio della Giuria Ecumenica al 62. Festival di Berlino 2012, capace di fare emergere tramite una rappresentazione teatrale l’umanità all’interno di un carcere italiano. Da segnalare poi Il villaggio di cartone (2011) di Ermanno Olmi, così come Io sono Lì (2011) di Andrea Segre, storia di integrazione e accoglienza tra comunità di italiani e cinesi nella laguna veneziana; sino a Piovono pietre (Raining Stones, 1993) di Ken Loach, dove troviamo sia lavoratori in affanno in cerca di riscatto sociale sia un sacerdote testimone del Vangelo tra gli indigenti. 

 

Trash e Still life 

Tra i film della sesta scheda – Carità nelle periferie dell’esistenza – meritano una particolare attenzione Trash (2014) di Stephen Daldry e Still life (2013) di Uberto Pasolini. Tratto dal romanzo Trash. Una Storia di soldi e bambini sporchi di Andy Mulligan (edito in Italia da Rizzoli), il film Trash (2014) di Stephen Daldry, vincitore del Premio Speciale della Giuria e Premio del Pubblico al 9. Festival Internazionale del Film di Roma (oggi Festa del Cinema di Roma), è il racconto di tre adolescenti – Rafael, Gardo e Rato – della Favela di Rio de Janeiro che frugando nella discarica trovano un portafoglio con importanti documenti. Per loro è l’inizio di un avventuroso nonché problematico viaggio in cerca di riscatto e giustizia, incalzati dallo spregiudicato politico locale. A sostenerli ci sono solo il missionario padre Juilliard (Martin Sheen) e la volontaria Olivia (Rooney Mara). Nonostante alcune debolezze o semplificazioni narrative, il film di Daldry si dimostra capace di delineare una storia coinvolgente di umanità alla deriva, tra ingiustizie e privazioni, che si mette in gioco per un futuro migliore.   

Di altro registro è il toccante Still life (2013) di Uberto Pasolini, Premio Orizzonti e Premio Francesco Pasinetti alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2013, tratto da un autentico fatto di cronaca. A Londra John May (Eddie Marsan) è un addetto del comune che si occupa di dare un funerale decoroso alle persone morte in solitudine. Licenziato però dal Comune per riassetto amministrativo, John si dedica al suo ultimo caso che si rivelerà anche l’occasione per riflettere sulla sua vita, per riscoprire quella sfera di emozioni sopita sotto la pesante coltre della solitudine.

“Still life” in inglese può avere vari significati. In italiano è tradotto con “natura morta” ma nell’originale la scelta della “vita” prevale sulla “morte”. Se il modo di svolgere quel curioso compito ha qualcosa di burocratico e freddo, è proprio la presenza di John a cambiare il volto di questa triste incombenza, a spostare i termini dell’impegno dalla squallida sensazione di obbligo alla prospettiva di un recupero di vite abbandonate e ugualmente degne di vicinanza e umanità. 

John è uno che porta conforto, che aiuta a comporre il corpo e a non lasciarlo solo a se stesso. Lo fa accompagnare da un discorso, una frase, una preghiera, anche nelle tante sfumature spirituali che una città come Londra esige. Accompagnare la morte per parlare di vita. Così John resta personaggio indimenticabile nell’invito al rispetto e alla ricerca di equilibri interiori che trasmette allo spettatore. 

 

La sequenza del film Still Life

L’opera di Uberto Pasolini, Still Life, si compone per la maggior parte di quadri visivi con pochi dialoghi. Sono soprattutto le intensità delle espressioni e dei volti a parlare. Esemplare in questo il lavoro dell’attore Eddie Marsan nell’interpretare John May. Un dialogo però significativo è quello tra John e il suo superiore in ufficio, Mr. Pratchett. Un dialogo che lascia ben comprendere da un lato lo spirito di servizio e di carità che anima John, quello di dare una degna sepoltura a tutte le persone senza famiglia; dall’altro emerge in maniera asciutta la burocrazia amministrativa che non esita a tagliare servizi sociali, considerati poco produttivi. 

 

(Comune di Londra, ufficio di John May. Entra Mr. Pratchett per ribadire il licenziamento di John)

Mr. Pratchett: In fondo non era così difficile. 

John May: Come scusi?

Mr. Pratchett: Ci ho pensato, sai, al tuo lavoro. La verità è che i morti sono morti. I funerali sono per i vivi. Se non trovi nessuno, non soffre nessuno. Giusto? Insomma, per chi rimane forse è meglio non sapere: niente funerale, niente tristezza né lacrime. Tu che ne dici? (Sarcastico)

John May: (Perplesso, ironico) …Non ho mai considerato la cosa da questo punto di vista.

Mr. Pratchett: Comunque sia, i morti sono morti. Non ci sono, se ne fregano. D’accordo? (Esce dalla stanza)

John May: (Corre fuori, lo insegue)  Signor Pratchett, Signor Pratchett!

Mr. Pratchett: Sì, John? 

John May: (Affannato) Mi servono altri giorni. 

Mr. Pratchett: Altri giorni? Non credo sia possibile John…

John May: Il mio ultimo caso, William Stoke. 

Mr. Pratchett: Non ne vedo il motivo.

John May: Mi basta solo qualche giorno (Pregando)

Mr. Pratchett: (Sospiro) Va bene, ma lo farai in forma privata. Il Comune ha già firmato il licenziamento. 

 

PER APPROFONDIRE

 

Trash

Commissione Nazionale Valutazione Film CEI – Cnvf.it: «Cineasta di suggestiva compattezza e di altalenante resa visiva, Daldry si imposto con quel Billy Elliot, 2001 che gli è rimasto addosso come una sorta di etichetta, aiutata da titoli successivi come Molto forte, incredibilmente vicino, 2012. (…) Se però mettiamo insieme Billy Elliot, rivoluzionario involontario, e i ragazzini della discarica di Rio qualche differenza bisogna pur notarla. Al realismo duro e sofferto del primo fa seguito una parvenza di realtà filtrata da un patinato succedersi di luci, colori, paesaggi che sfiorano la cartolina e cercano di evitarne il ricordo, affidandosi ad un blando tono di denuncia sociale. I pericoli che corrono i ragazzi, l’incombere di poliziotti e gangster, il ruolo infine marginale del missionario sono tasselli che compongono un quadro fin troppo smaltato, lucido, dal quale sono assenti dolore, privazioni, sofferenza. Daldry risulta fin troppo bravo, forse anche alquanto astuto e opportunista. Perché l’esposizione dei problemi c’è, il catalogo esiste, il Brasile vive le forti contraddizioni che si raccontano. Ma bisogna crederci sulla parola e salire sul lieto fine che conclude l’avventura».

 

Still life

Rivista del Cinematografo – Cinematografo.it: «Ci sono film che hanno una grazia rara: ci fanno sentire meglio, migliori. È una grazia che Still Life di Uberto Pasolini possiede. Interpretato da un magnifico Eddie Marsan (…) L’italo-inglese Pasolini ci regala l’inedito ritratto di “un amico dei trapassati”, senza morbosità, ma anzi con un rispetto e una sensibilità commoventi. Sospeso su una nuvola di leggerezza, affidato a un’efficace poetica degli oggetti (la “natura morta” del titolo), Still Life è un delicato valzer degli addii, un’opera che riporta letteralmente i morti “in vita”, rivelando i legami che misteriosamente uniscono defunti e viventi. Con la disarmante semplicità della messa in scena, l’ineffabile malinconia del sonoro, la sensibile performance attoriale, il film penetra la materia dura e ottusa dell’esistenza con una forza e un sentimento rari. Un’opera autentica, emozionante, profondamente conciliante, che vale tutte le sue lacrime» (G. Arnone, Still Life. Finalmente un film che vale tutte le sue lacrime: il valzer degli addii lo suona Uberto Pasolini, in Cinematografo.it, 10 dicembre 2013).


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