DENTRO LA TV: Perché vedere “Chernobyl”

Alla scoperta della serie “Chernobyl”, produzione HBO in 5 puntate in onda su Sky e NowTv in corsa per 6 Emmy Award. Racconto bellissimo, necessario, soffocante.

giovedì 8 Agosto 2019
Un articolo di: Sergio Perugini

“Chernobyl” agli Emmy. Alla 71a edizione degli Emmy Awards, i riconoscimenti più rilevanti della Tv negli USA e a livello internazionale, concorrerà per 6 premi. Parliamo di “Chernobyl”, serie in anglo-americana in 5 puntate diretta da Johan Renck e scritta da Craig Mazin; prodotta dal network HBO, in Italia è disponibile su Sky Atlantic e sulla piattaforma NowTv dallo scorso giugno. È una serie evento sul disastro nella centrale nucleare sovietica di Chernobyl, avvenuto il 26 aprile 1986.
I giorni di Chernobyl. Tutto inizia dall’esplosione del reattore 4 nella centrale nucleare di Chernobyl, nel cuore della notte di quell’aprile 1986, alla concitata sequela di azioni successive: tecnici disorientati dall’accaduto, squadre di vigili del fuoco intente a sedare l’inarrestabile rogo, tutti ignari della presenza corrosiva di radiazioni fuori controllo. Poi le telefonate con i tavoli del potere nella capitale sovietica, dove si fatica a comprendere l’accaduto (inammissibile per una super potenza). Il racconto si stringe infine sulle indagini e le azioni dello scienziato Valerij Legasov, chiamato a trovare risposte, un modo disperato per contenere tale disastro. Accanto a lui c’è Boris Shcherbina, uomo di apparato, che seppure inizialmente scettico supporta con vigore Legasov. Con loro due (figure realmente esistite) c’è anche la scienziata Ulana Khomyuk, personaggio di finzione pensato per dare volto ai tanti esperti in prima linea in quei giorni disperati.
Pros&Cons. È una ricostruzione lucida, accurata, stupefacente, quella della serie “Chernobyl”, cronaca serrata degli avvenimenti scatenati dal sito nucleare sovietico nel 1986. È un esplorare graduale, sordo, fatti e azioni, ora eroiche ora meschine, degli uomini del tempo; ma è anche una vertigine di emozioni implacabili: sconvolgimento, sconforto, rabbia, dolore, tanto dolore, e poi misericordia. Vedere “Chernobyl” non è un’esperienza facile. Ci vuole stomaco, forza per sostenere lo sguardo dinanzi a immagini così atroci, a vite di uomini, di famiglie, del creato, violentate e “sprecate” dall’incuria umana. È una visione però necessaria, per fare memoria del passato. Come il cinema e la fiction tv sulla Shoah sono stati (e tuttora sono) determinanti per il processo di elaborazione collettiva dell’Olocausto, così la serie “Chernobyl” è altrettanto preziosa per richiamare un passato più recente, che ha ancora così tante contaminazioni con l’oggi.
“Chernobyl” è un modo di fare televisione da servizio pubblico, con una qualità di racconto eccellente, che nulla invidia al cinema. E poi gli attori Jared Harris, Emily Watson e Stellan Skarsgård sono di una bravura imbarazzante: in caso di mancato Emmy, possiamo dire che hanno già ottenuto il premio più importante, quello del pubblico.

Articolo originale pubblicato su Agenzia SIR


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