GRIDO DI PIETRA *

Valutazione
Accettabile-riserve, Realistico
Tematica
Ecologia
Genere
Drammatico
Regia
Werner Herzog
Durata
96'
Anno di uscita
1991
Nazionalità
Repubblica Federale Tedesca
Titolo Originale
SCHREI AUS STEIN
Distribuzione
Lucky Red Distribuzione
Soggetto e Sceneggiatura
Hans da un'idea di Reinhold Messner
Montaggio
Suzanne Baron

Sogg.: da un'idea di Reinhold Messner - Scenegg.: Hans-Ulrich Klenner, Walter Saxer -Fotogr.: (panoramica/a colori) Rainer Klausmann - Montagg.: Suzanne Baron - Dur.: 96' - Co-Produz.: Sera Film Produktion, Munchen; Molecule, Paris; Les Films Stock, Montreal

Interpreti e ruoli

Vittorio Mezzogiorno (Roccia Innerkofler), Mathilda May (Katharina), Donald Sutherland (Ivan Rodanovic), Stefan Glowacz (Martin Edelmeier), Brad Dourif, Al Waxman, Chavela Vargas, Georg Marischka, Volker Prechtl, Hans Kammerlander, Lautard Murua, Gunilla Karlzen

Soggetto

al campionato mondiale di free climbing indoor (arrampicata libera al coperto) l'organizzatore, Ivan Rodanovic, che la commenta per la televisione, ha invitato Roccia Innerkofler, il più celebre alpinista del mondo. Competono Martin Edelmeier, un tedesco, campione in carica, e un californiano. Durante la vittoriosa prova del tedesco, Roccia esprime il parere di trovarsi di fronte ad acrobati, più che alpinisti, e in un'intervista-scontro successiva mette in dubbio che un free climber possa affrontare un "vera" montagna. Così Martin decide di seguire Roccia nella sua spedizione al Cerro Torre e sfidarlo sul leggendario picco patagonico. Li accompagna, oltre ad Ivan, Katharina, amica-segretaria di Roccia, ed Hans Adler, già compagno di Innerkofler nei due precedenti tentativi di scalare il Cerro. Mentre il maltempo li tiene inoperosi alla base, Roccia corre sulla neve e Martin gioca a scacchi da solo. Nei pressi è accampato, in una caverna tappezzata di foto di Mac West, un folle, un alpinista che ha perso quattro dita nell'impresa, a suo dire vittoriosa, di scalare il Cerro Torre. Col migliorare del tempo, Roccia decide di andar con Ivan a rifornirsi di viveri, con un viaggio di due giorni, vivamente stigmatizzato da Martin, che una volta rimasto solo convince Hans a tentare la scalata. Ma a metà ascensione una slavina trancia la corda di Hans e lo fa precipitare seppellendolo, mentre Martin, in stato semi incosciente, riesce a scendere. Ivan decide di rinunciare, e con Martin, che sostiene di aver scalato il Cerro e Katharina rientra a Buenos Aires dove annunciano la vittoria, mentre Roccia decide di restare in Patagonia affittando una casetta nella pampa. Dopo una burrascosa conferenza stampa in cui si mette in dubbio l'autenticità dell'impresa di Martin, questi decide di tornare in Patagonia a scalare il Torre, e vi si reca con Rodanovic e Katharina che nel contempo è divenuta sua amante, e con un manager americano nonché elicotteri e cineoperatori pronti a filmare l'impresa. Stimolato dall'arrivo della spedizione, Roccia intraprende la scalata dal lato nord, mentre Martin tenta da quello sud. Mentre il secondo finirà per precipitare e perdere la vita, il primo, arrivato con sommo sforzo sull'agognata sommità, avrà la sorpresa di trovavi infissa la piccozza dell'alpinista folle con la foto dell'adorata Mae West.

Valutazione Pastorale

"Io credetti e credo la lotta con l'alpe bella come una fede, nobile come un'arte" scriveva la grande guida valdostana Guido Rey, pioniere delle prime grandi scalate sul Monte Bianco. A distanza di quasi un secolo infuria la querelle tra free climbers e tradizionalisti, acuita dalla recente istituzione appunto dei campionati mondiali di arrampicata, ed è destinata, come tutte le dispute basate su opinioni, a coagulare le solite legioni di fautori e detrattori, coll'immancabile contorno di "santoni" al di sopra delle parti pronti a dire la loro. In questo film meno enigmatico e contorto di taluni precedenti, ma primo di quel peso simbolico e di quelle atmosfere sottili cui ci aveva abituati, il regista tedesco si avvale della consulenza di un'autorità mondiale dell'alpinismo come Messner, ma il risultato formale non sembra pari alle aspettative, tenuto anche conto di certe "smagliature" nella veridicità alpinistica di certe immagini. Messner, che a rigore dovrebbe rispecchiarsi nel personaggio di Roccia, e che ha ispirato il soggetto, può aver avuto peso nella scelta di "punire" con la morte sia l'arroganza sportiva ed atletica del free climber (Martin) che l'abbandono della retta via della prudenza del giovane alpinista tradizionale (Hans), anche perché sono episodi vissuti in prima persona dall'alpinista altoatesino. La conquista del Cerro Torre da parte dell'alpinista folle sembra però voler ribadire che alla base dell'alpinismo debba esserci una libera scelta d'avventura, magari mossa da un pizzico di follia, che deve precedere l'atteggiamento mentale di chi invece lo costringe e soffoca nei dettami di una disciplina sportiva o lo banalizza nello spirito della super prestazione psico fisica tra il fachiresco ed il circense. L'alpinismo dovrebbe invece consistere sostanzialmente in una lotta con sé stessi, un'avventura in cui la forza dello spirito abbia ragione sia delle proprie debolezze e paure che delle difficoltà esterne, obiettive che la "lotta con l'alpe" propone, con l'angoscioso alternarsi del bello e del cattivo tempo, con le estenuanti attese alla base ed appesi alle pareti, con il pericolo incombente delle slavine, ed infine con l'irripetibile gioia di affacciarsi, dopo l'estenuante lotta con rocce e ghiacci strapiombanti, sulla vetta. Tutto ciò, se pur deducibile dal contesto del film, non è mai espresso con poetica forza d'immagini o di dialoghi, che anzi sono spesso piuttosto piatti. Nel film di Herzog si coglie anche una critica all'alpinismo tradizionale. dove Roccia è sì, fautore di un vecchio "stile" di arrampicata, tutto prudenza ed esperienza, ma sul piano umano anch'egli non è esente dall'invidia per chi potrebbe "rubargli" la conquista, (si veda il correre quasi disperato ad attaccare la parete come vede giungere gli elicotteri della spedizione), ed inoltre denuncia, con la dura intransigenza nei suoi rapporti con gli altri e segnatamente con la compagna, di essersi costruito attorno una torre d'avorio dalla quale pretende di giudicare, isolandosi, il mondo, e finendo per perdere la capacità di comunicare, nonché di amare, (ed infatti dopo un colloquio con la ex amica brucia la foto che lo ritrae sorridente con lei), trasformandosi insomma in un taciturno e geloso custode dei sacri valori dell'alpinismo. Per questo sembra assumere valore simbolico, quasi salomonico, la "beffa" dello scalatore impazzito che è salito sulla vetta senza sponsor o con alle spalle anni di vittorie prestigiose e propagandate dai media: egli, sembra voglia dire Herzog (opiniamo con Messner in veste di suggeritore), ha vinto perché ha affrontato il "mostro" di roccia e ghiaccio, il "mangiadita", come lo chiama nei suoi deliranti discorsi, con la fede e l'ingenuità di un moderno Don Chisciotte che reca nel portafoglio l'immagine della sua Dulcinea, e è pago solo di ornare dell'immagine amata la piccozza infissa sulla vetta, prova della sua solitaria ed ignorata conquista.

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