IN NOME DEL POPOLO SOVRANO

Valutazione
Discutibile, Ambiguità
Tematica
Storia
Genere
Drammatico
Regia
Luigi Magni
Durata
117'
Anno di uscita
1990
Nazionalità
Italia
Titolo Originale
IN NOME DEL POPOLO SOVRANO
Distribuzione
Artisti Associati International
Soggetto e Sceneggiatura
Luigi Magni, Arrigo Petaccio
Musiche
Nicola Piovani
Montaggio
Ruggero Mastroianni

Sogg. e Scenegg.: Luigi Magni, Arrigo Petaccio - Fotogr.: (panoramica/a colori) Giuseppe Lanci - Mus.: Nicola Piovani - Montagg.: Ruggero Mastroianni - Dur.: 117' - Produz.: Erre Produzioni

Interpreti e ruoli

Alberto Sordi (Marchese Arquati), Nino Manfredi (Ciceruacchio), Elena Sofia Ricci (Cristina), Massimo Wertmuller (Eufemio Arquati), Jacques Perrin (Ugo Bassi), Serena Grandi (Rosetta), Luca Barbareschi (Giovanni Livraghi)

Soggetto

nel 1849, da Roma il Papa Pio IX è costretto a recarsi esule a Gaeta per l'avvento della Repubblica Romana. Pochi mesi dopo le truppe francesi del generale Oudinot e quelle austriache, tentano di riprendere Roma, per imporre con la forza la restaurazione del potere temporale, che anche una parte dei cittadini, specie i nobili, vogliono vedere ripristinato. In casa del marchese Arquati, nobile papalino, vivono il figlio Eufemio, debole e timido, con la moglie Cristina, (che l'ha sposato costretta dalla famiglia), la figlia Giacinta e la serva-padrona Rosetta. Cristina, sostenitrice della repubblica, è diventata l'amante del capitano Giovanni Livraghi, rivoluzionario milanese, accorso in aiuto dei repubblicani, e grande amico del frate barnabita Ugo Bassi, contrario al potere temporale e sostenitore dei diritti del popolo, ma sempre fedele alla sua missione di sacerdote. Fra i popolani insorti spicca Ciceruacchio (Angelo Brunetti), accompagnato dal figlio adolescente, Lorenzo. Frattanto il marchesino Eufemio, innamoratosi improvvisamente della propria moglie, che vede trasfigurata dalla passione politica e da quella per Livraghi, è deciso ad uccidere il rivale, e a tale scopo lo raggiunge, mentre combatte sul Gianicolo, dove invece lo salva, uccidendo un francese, che stava per colpirlo a morte. Dopo molti scontri i patrioti repubblicani superstiti, sconfitti dalle truppe straniere, abbandonano Roma e si dirigono disordinatamente verso il nord. Cristinacercadi raggiungere Giovanni, il quale è partito con Bassi per congiungersi a Garibaldi. Ma Bassi e Livraghi vengono arrestati e condannati a morte, mentre la donna tenta invano di salvare l'amante, implorando la grazia da un potente prelato suo amico. Prima dell'esecuzione, a Ugo vengono negati i sacramenti, mentre Giovanni sceglie di confessarsi a lui. Intanto Eufemio cerca sempre la moglie, che vuol uccidere per vendicarsi, ma quando, dopo la morte di Livraghi, la rivede, tutto è cambiato fra loro: Cristina ora lo stima per il suo gesto generoso sul Gianicolo, gesto che gli ha fatto rischiare la vita. I due sposi si riuniscono, e lei segue il marito, quando questi decide di combattere coi piemontesi per l'unità d'Italia. Frattanto anche Ciceruacchio e suo figlio vengono fucilati, mentre a Roma il Papa Pio IX torna a regnare.

Valutazione Pastorale

Luigi Magni ha innato il gusto del racconto, del tessere un arazzo fitto di trama e di colori, rivisitando la Storia. I colori sono vividi, da stampe pinelliane e l'estro ha una nuova conferma, con l'alternanza fra il realismo obbligato dalla Storia e la fantasia di personaggi inventati, nell'amore costante per Roma. Tutto è colorito e di avvertibile freschezza quanto a immagini. Non tutto però è corposo ed equilibrato e a volte il gusto del racconto e del dettaglio cede alla maniera e al bozzettismo. Molti personaggi sono o appena allusi o solo tratteggiati quando non anche ingombranti e a far ripieno. Di sapori ce ne sono tanti e di noterelle quotidiane e calorose pure (comprese quelle della fantesca, che dispensa generosamente venustà paesane, ma troppa sentenziosità). Ne derivano di conseguenza un certo disequilibrio fra i personaggi e, a parte ciò, una forte diluizione della vicenda che, tra fughe, incontri e esecuzioni, appare meno asciutta e di una presa emotiva assai meno incisiva. Tra gli interpreti il migliore è Jacques Perrin (il barnabita Ugo Bassi), fiero e intenso quanto occorre, il solo di un sofferto spessore. Generoso e nulla più il Ciceruacchio di Nino Manfredi e ben espresso nella sua graduale maturazione il marchesino Eufemio, affidato ad un bravo Massimo Wertmuller. Quanto al Marchese Arquati di Alberto Sordi, si tratta di una caratterizzazione etichettata dalla routine degli ammicchimenti consueti e dalle interiezioni romanesche: troppo sopra le righe, poi la "sparata" finale, con invettive e sputi davanti al panorama di Roma. Far rivivere la Storia e valutarne luci ed ombre è sempre impresa ardita e difficile, specie per chi storico non è (anche se, ovviamente, si è documentato). Potere temporale dei Papi e Repubblica romana sono temi notevoli: insistere durante un intero film con le frecciatine anticlericali e con il mangiapretismo è un livore immotivato.

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