KUNDUN

Valutazione
Accettabile, realistico
Tematica
Rapporto tra culture, Tematiche religiose
Genere
Drammatico
Regia
Martin Scorsese
Durata
123'
Anno di uscita
1998
Nazionalità
Stati Uniti
Titolo Originale
KUNDUN
Distribuzione
Medusa Film
Soggetto e Sceneggiatura
Melissa Mathison basato sulla vita del quattordicesimo Dalai Lama
Musiche
Philip Glass
Montaggio
Thelma Schoonmaker

Sogg.: basato sulla vita del quattordicesimo Dalai Lama- Scenegg.: Melissa Mathison - Fotogr.: (Scope/ a colori) Roger Deakins - Mus.: Philip Glass - Montagg.: Thelma Schoonmaker - Dur.: 123' - Produz.: Barbara De Fina.

Interpreti e ruoli

Tenzin Thuthob Tsarong (Dalai Lama adulto), Gyurme Tethong (Dalai Lama a 12 anni), Tulku Jamyang Kunga Tenzin (Dalai Lama a 5 anni), Tenzin Yeshi Paichang (Dalai Lama a 2 anni), Tencho Gyalpo (la madre), (il padre), Tsewang Migyur Khangsar (il Lama di sera), Geshi Yeshi Gyatzo, Robert Lin, Ngawang Dorjee, Phintso Thonden.

Soggetto

Nel 1937 in Tibet, un bambino di due anni e mezzo proveniente da una modesta famiglia viene riconosciuto come quattordicesima reincarnazione del Buddha della compassione, destinato a diventare il Dalai Lama, guida spirituale e politica della sua gente. Negli anni Quaranta, il bambino cresce sotto l’insegnamento degli anziani maestri buddisti, pronto a diventare per tutti esempio di una indomita volontà e di un fervido impegno religioso. La seconda guerra mondiale tocca solo marginalmente il Tibet ma è sul finire del decennio che i nuovi assetti politici si abbattono con forza e violenza sul Paese fino a cambiarne il corso della storia. Nel 1950, quando il Dalai Lama ha 15 anni, l’esercito comunista cinese del presidente Mao invade il Tibet, procla-mandolo territorio della Cina. Ma il giovane Dalai oppone resistenza, rifiutan-do con fermezza di venire meno ai basilari principi del Buddismo, compresa l’ideale della non-violenza. Infine accoglie l’invito a recarsi a Pechino, dove Mao lo tratta con affabilità ma poi gli conferma che la situazione è irreversibile e che la religione deve essere bandita dalla mente delle popolazioni. Tornato a casa, il Dalai cerca ancora di organizzare una opposizione, che vorrebbe mantenere pacifica, ma i soldati cinesi infieriscono, provocando stragi e uccisioni di massa. Il Dalai vorrebbe non muoversi dal palazzo, ma gli anziani monaci insistono e nel 1959 si decide a prendere la via dell’esilio. Dopo un lungo, estenuante viaggio il Dalai Lama arriva al confine con l’India, dove viene accolto con tutti gli onori. Ha 24 anni ed oggi, 39 anni dopo, aspetta ancora di poter tornare nella propria terra.

Valutazione Pastorale

Martin Scorsese, il regista, ha dichiarato: “Ciò che mi ha soprattutto interessato della storia è come un ragazzo abituato a vivere in una società altamente spirituale si fosse venuto a trovare in conflitto con un mondo profondamente antireligioso quale quello della Cina maoista. Come può un predicatore della nonviolenza avere a che fare con quella realtà?”. Su questo dualismo, forte e lacerante, il film si muove, riuscendo a non essere mai banalmente ‘politico’ ma anzi andando a scavare nell’anima religiosa e quindi nell’identità lacerata di un popolo, un evento di fronte al quale la comunità internazionale ha taciuto per motivi di opportunità e di convenienza. Certo la denuncia della violenza inferta dalla Cina è netta e circostanziata: il dolore della persecuzione ai danni del popolo tibetano è affidato ad immagini dal ritmo solenne e ieratico, costruite sulla gestualità e l’iconografia buddiste spazzate via dalla furia degli invasori. Immagini come corrispettivo della filosofia di vita tibetana, come voce che vuole tramandare all’oggi l’importanza di riti e tradizioni nei quali un popolo riconosce sé stesso. Dal punto di vista pastorale, un film utile, valido e interessante: veicolo di dialogo ecumenico e luogo d’incontro tra il vecchio e il nuovo mondo. E accorato appello alla riconciliazione da parte di Martin Scorsese, regista di formazione cattolica che tutto vuole fare tranne che spicciola propaganda per la causa buddista. UTILIZZAZIONE: il film è da utilizzare sia in programmazione ordinaria sia come proposta di ‘lettura’ di un episodio tragico e bruciante della storia contemporanea. Come occasione di riflessione sul buddismo e sulle filosofie di vita religiose. Inoltre può risultare opportuno, a proposito di mode, mettere a confronto questo film con quello di poco precedente “Sette anni in Tibet” di JeanJacques Annaud.

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