La vita davanti a sé

Valutazione
Consigliabile, Problematico, Adatto per dibattiti
Tematica
Adolescenza, Amicizia, Anziani, Donna, Educazione, Famiglia, Malattia, Metafore del nostro tempo, Povertà-Emarginazione, Rapporto tra culture, Shoah - Olocausto, Solidarietà
Genere
Drammatico
Regia
Edoardo Ponti
Durata
95'
Anno di uscita
2020
Nazionalità
Italia
Titolo Originale
La vita davanti a sé
Distribuzione
Netflix
Soggetto e Sceneggiatura
Adattamento dell'omonimo romanzo di Romain Gary del 1975, la sceneggiatura è firmata da Edoardo Ponti e Ugo Chiti
Fotografia
Angus Hudson BSC
Musiche
Gabriel Yared
Montaggio
Jacopo Quadri
Produzione
Prodotto da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra per Palomar, in collaborazione con Netflix.

Interpreti e ruoli

Sophia Loren (Madame Rosa), Ibrahima Gueye (Momo), Renato Carpentieri (Dottor Coen), Iosif Diego Pirvu (Iosif), Abril Zamora (Lola), Babak Karimi (Hamil), Massimiliano Rossi (Ruspa)

Soggetto

Bari oggi, nei quartieri crocevia di umanità, dove culture, religioni, ma anche povertà, condividono uno spazio comune, vive Madame Rosa, un’anziana donna ebrea, sopravvissuta all’orrore di Auschwitz, ma anche al degrado della strada. Madame Rosa nel tempo si è presa carico dei figli delle altre prostitute e ha potuto tirare avanti così, in una quotidianità invasa dai ricordi del passato e dagli incubi della deportazione. Un giorno il dottor Coen le affida un bambino senegalese di dodici anni, Momo, senza più casa o familiari. Momo è arrabbiato con la vita, perché gli ha tolto tutto, anzi non gli ha mai regalato qualcosa. I primi giorni della convivenza sono faticosi, per i modi spicci dell’anziana donna e, nel contempo, perché Momo è insofferente alle regole, anzi cerca continue scappatoie nell’illegalità. Qualcosa poi cambia, quando Madame Rosa mostra la fragilità della sua età, il peso del suo ingombrante passato, ma anche quando Momo si accorge che la solitudine è uno stagno di sofferenze…

Valutazione Pastorale

È una storia minuta, circoscritta, “La vita davanti a sé”, che mette a tema elementi centrali del nostro vivere sociale, a cominciare dal dovere-bisogno di accoglienza, tolleranza e solidarietà. Il film di Edoardo Ponti – dal testo di Romain Gary del 1975 – condensa una sequela di suggestioni cinematografiche, dall’ultimo, struggente, Bertolucci di “Io e te”, per quel (ri)trovarsi in una cantina, in uno spazio stretto e insieme infinito, ai lampi colorati e poetici alla Pedro Almodóvar (quello di “Volver” del 2006 o ancor prima di “Tutto su mia madre” del 1999), raccontando l’umanità dell’appartamento di Madame Rosa e l’amicizia familiare con la prostituta Lola. Ancora, voluto poi è l’omaggio a Ettore Scola e al suo “Una giornata particolare” (1977) – interpretato dalla stessa Loren con Marcello Mastroianni –, in una dolente sequenza sui tetti del palazzo, tra file di panni stesi. La regia di Ponti si dimostra valida e presente, abile soprattutto nel capire di dover concedere spazio alla recitazione naturale, avvolgente, della Loren con il giovane Gueye (di grande espressività!): insieme riempiono lo schermo con giochi di sguardi e parole appena accennate. I due descrivono le sfumature del dolore, della solitudine più bruciante, che progressivamente sovvertono nei toni più caldi della tenerezza. E lei, la Loren, brilla, irradia di luce tutto il racconto, senza però fagocitarlo. Anzi, da grande attrice, fa un passo indietro e si mette al servizio della storia, in sottrazione, regalando un personaggio di rara bellezza. La Loren cesella con grande eleganza e profondità il personaggio di Madame Rosa, condensando durezza, fierezza, ma anche calore e accoglienza. La donna è scampata alla Shoah, un orrore che custodisce nella memoria e sulla pelle, e ha dovuto pure sporcarsi con la vita, obbligata al marciapiede, ma non si è mai arresa. Anzi. E quando non ha più potuto proseguire per il sopraggiungere dell’età, è riuscita a rimanere in piedi tenendo in affido i figli delle altre ultime, come la prostituta Lola che le abita nel piano sottostante. Non c’è vergogna, amarezza o lamento negli occhi di Madame Rosa, anche se con lei la vita (come per il piccolo Momo) è stata a dir poco avara. Lei però non le ha voltato le spalle, ma l’ha affrontata e vissuta tutta, unendo al coraggio spirito di solidarietà: la sua casa è diventata un rifugio per tutti, a cominciare dai più disgraziati, senza fare differenze tra colore della pelle o religione. È uno piccolo spazio, un “buco” dice Momo, dove però l’umanità tutta trova accoglienza. Ed è proprio quello che avviene per il ragazzo, scartato dalla società, già lanciato nei sentieri della criminalità locale; lui che è nato “senza”, lì trova qualcosa: l’incontro con Madame Rosa lo cambia, lo salva, polverizzando le sue durezze e dando battito al suo cuore intorpidito. Momo con Madame Rosa si sente per la prima volta protetto, amato, e la donna trova in lui quel sostegno per percorrere quell’ultimo tratto di esistenza. Nel complesso “La vita davanti a sé” risulta un’opera convincente per la delicatezza con cui mostra le periferie odierne, un’umanità in affanno resiliente e solidale. Un film che direziona lo sguardo tra il valore della memoria e la fiducia nel domani, puntellando il racconto di raccordi ora poetici ora educativi. Dal punto di vista pastorale “La vita davanti a sé” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione

Il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria e in successive occasioni di dibattito per approfondire i temi della solidarietà, della tolleranza, come pure il valore della memoria e il potere salvifico dell'educazione, della tenerezza.

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