MORTE DI UN MAESTRO DEL TÉ ***

Valutazione
Discutibile, Complesso
Tematica
Genere
Drammatico
Regia
Kei Kumai
Durata
107'
Anno di uscita
1990
Nazionalità
Giappone
Titolo Originale
SEN NO RIKYU
Distribuzione
Mikado Film
Soggetto e Sceneggiatura
Yoshikata Yoda dal romanzo "Honkakubo Ibun" di Yasushi Inoue
Musiche
Teizo Matsumura
Montaggio
Osamu Inoue

Sogg.: dal romanzo "Honkakubo Ibun" di Yasushi Inoue - Scenegg.: Yoshikata Yoda - Fotogr.: (panoramica/a colori) Masao Tochizawa – Mus.: Teizo Matsumura - Montagg.: Osamu Inoue - Dur.: 107' - Produz.: The Seiyu LTD, Toktyo

Interpreti e ruoli

Toshiro Mifune (Sen no Rikyu), Ejti Okuda (Honkakubo), Kinnosuke Yorozuya (Uraku), Go Kato (Oribe), Shinsuke Ashida (Hideyoshi), Eijro Tono (Kokei), Take Toshi Naito (Toyobo), Tsuneniko Kamijyo, Taro Kawano, Teizo Muta

Soggetto

1618. Malgrado siano trascorsi ventisette anni dalla morte di Sen No Rikyu, gran cerimoniere del té, il suo prediletto discepolo Honkakubo, vive il lutto del maestro in dignitosa povertà e ha di continuo sogni e visioni in cui il defunto gli appare sempre in atteggiamento ieratico. Incontrantosi con Uraku, un altro discepolo di Rikyu, Honkakubo cerca di rievocare gli avvenimenti che avevano indotto il maestro a suicidarsi tramite karakiri: Rikyu, addetto alla cerimonia del té per il sovrano Hideyoshi, negli ultimi anni della sua permanenza a corte aveva sofferto amara umiliazione poichè il suo signore pretendeva che la cerimonia si svolgesse a propiziare fini violenti. Da qui l'opposizione di Rikyu non solo rispettoso custode dell'essenza etica e della antiche forme del rituale, ma anche tenace oppositore di alcune idee politiche di Hideyoshi, desideroso di invadere la Corea. Per il maestro Rikyu, ormai condannato all'esilio dopo essere stato scacciato da Kioto, non vi era altra possibilità per la sua dignità di cerimoniere che una morte per karakiri.

Valutazione Pastorale

contrariamente a quanto potrebbe immaginarsi, ciò che costa alla piena accettabilità dell'opera di Kumai non risiede nei suoi rituali ossessivi, in cui ogni gesto è calibrato ed ha precisi significati, e neppure nella meccanicità propria di una liturgia antichissima, ma è la Cultura della Morte, il suicidio concepito ed attuato come unica risposta possibile, a salvare determinati valori etici, pur tenendo doveroso conto dell'epoca della vicenda, di usi e costumi nonchè di rituali ieratici e talora indecifrabili. L'evidenza di determinati valori morali - nonchè la loro costante ricerca - è chiaramente percepibile. Il problema, tuttavia, si pone sul piano squisitamente spirituale, circa il significato e la finalità risolutiva riconosciuta al morire, come atto supremo e sigillo del vivere. Vi è peraltro un secondo aspetto che nel film di Kumai appare importante ed attualissimo: quello dei rapporti fra i detentori del Potere e l'artista, il quale non può in quanto tale tollerare ordini, nè può cedere a manipolazioni della propria arte, soprattutto là dove essa sia chiamata a strumentalizzazioni per fini perversi. Lo scontro fra il Signore ed il Maestro è tutto qui: nella propria purezza, in quella cerimonia solo in apparenza fossilizzata per esattezza dei gesti cui egli presiede e di cui è l'ascetico custode, Rikyu difende la libertà ed opera per il Bene. È per essa che egli muore, lasciando un messaggio di pace: agli uomini la responsabilità di adottare scelte mature e pacifiche. La scelta operata dal vecchio Maestro va dunque inquadrata in epoche lontane, in cornici poco più che feudali ed in un contesto filosofico e di pensiero che, anche se in grande parte ignoto o ostico, non merita valutazioni sbrigative. Il tema nobile e dolente e la simbologia permeano tutto il film, il quale è a volte assai ripetitivo, ma ha moltissime qualità: l'essenzialità delle parole e delle immagini, la simmetria delle situazioni e dei comportamenti nella ricerca del mistero, affidando ai riti gli animi, creando nella inevitabile staticità personaggi austeri e ieratici e raggiungendo momenti sempre controllati, ma intensi (vedasi il suicidio di Rikyu biancovestito, "mimato" da un altro Maestro, che lo raggiunge su sentieri "freddi e deserti", ora che in punto di morte ha saputo e condiviso il perchè cui anelava). Le immagini sono di indiscutibile bellezza, più scarne che essenziali in una scrittura certamente complessa, ma forte e rigorosa, oltre che vivida e squillante a tempo debito (gli alberi fioriti nel trascrorrere delle stagioni). Indimenticabile ad esempio il bianco-grigio dei tumuli cemeteriali. Impeccabile ed ascetico Toshiro Mifune, sempre interprete principe, ma all'altezza anche gli altri, per concisione di gesti ed eleganza di movenze. Fluida e sobria nella sua modernità la partitura musicale, ad accompagnare riti antichissimi e galoppate di samurai.

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