MORTE DI UN MATEMATICO NAPOLETANO

Valutazione
Inaccettabile, Negativo
Tematica
Morte
Genere
Drammatico
Regia
Mario Martone
Durata
104'
Anno di uscita
1992
Nazionalità
Italia
Titolo Originale
MORTE DI UN MATEMATICO NAPOLETANO
Distribuzione
Mikado Film
Soggetto e Sceneggiatura
Mario Martone, Fabrizia Ramondino
Musiche
Michele Campanella
Montaggio
Jacopo Quadri

Sogg. e Scenegg.: Mario Martone, Fabrizia Ramondino - Fotogr.: (panoramica/a colori) Luca Bigazzi - Mus.: Michele Campanella - Montagg.: Jacopo Quadri - Dur.: 104' - Produz.: Teatri Uniti

Interpreti e ruoli

Carlo Cecchi (Renato Caccioppoli), Anna Bonaiuto (Anna), Renato Carpentieri (Don Semplicio), Antonio Neiwiller, Toni Servillo, Licia Maglietta, Fulvia Carotenuto, Roberto De Francesco

Soggetto

il primo di maggio del 1959, nella sala d'aspetto di III classe della stazione di Roma, un uomo maturo e distinto, anche se sporco, trasandato e ubriaco, viene fermato dalla polizia per controllo: è il matematico napoletano Renato Caccioppoli, professore universitario geniale ed eccentrico, ed ex comunista, ben noto a Napoli. Il mattino seguente, un commissario avverte telefonicamente il fratello maggiore del professore, Luigi, giudice e presidente di tribunale, appena tornato a Napoli con la moglie Emilia dal viaggio di nozze. Questi, come sempre, si occupa subito premurosamente di Renato, cercando di fargli condurre una vita ordinata e di allontanarlo dall'alcool, mentre Emilia, parlando da sola col cognato, allude ad un rapporto amoroso, avuto con lui nel passato. Ma Renato le risponde con indifferenza, poi più tardi riceve il suo allievo Pietro, che egli prepara per un concorso ad una cattedra, e al quale ha corretto, o meglio rifatto, il lavoro, che deve presentare. Luigi e Renato sono molto legati fra loro, anche se tanto diversi, e il giudice vorrebbe che il fratello prendesse libri, quadri o gioielli fra le cose di famiglia, che vengono trasportate in una altra casa. Ma Renato vuole soltanto qualche lettera del celebre Bakunin, che era loro nonno. Egli è evidentemente un uomo amareggiato, solo e infelice, che non crede più in niente: il lavoro non lo interessa, la politica lo ha deluso e il suo matrimonio con Anna è fallito. I due sono divisi da tempo. Ma ora la donna torna a Napoli e, in un incontro con l'ex marito, gli confida d'essere incinta di un altro uomo, ma di voler abortire, mentre avrebbe voluto tenere il bambino, che aspettava, quando era ancora sua moglie. Poi lo prega di farla tornare a vivere con lui, ma egli rifiuta: entrambi sanno di essersi feriti profondamente. In ultimo, Renato lascia ad Anna un ricco assegno, per aiutarla. Fra le lezioni all'università, gli esami, che lo annoiano, lunghe passeggiate di notte per i vicoli di Napoli, incontri con amici e con estranei, il professore trascorre gli ultimi giorni della sua vita. Va anche a salutare in una casa di cura la vecchia zia inferma, figlia di Bakunin, che lo esorta a smettere di bere. Poi, ritirata la pistola da una cassetta di sicurezza, nella notte si uccide. Lo trova morto la domestica il mattino del 9 maggio. Al cimitero, per il funerale, ci sono professori, studenti e politici, e si tengono discorsi ufficiali e retorici. Don Simplicio, l'assistente di Renato, ha ottenuto per lui dalla curia il permesso per i funerali religiosi, e il professore viene sepolto nella cappella di famiglia. Anna piange appartata. Qualcuno ricorda che al tempo del fascismo, contro il quale Renato parlava troppo apertamente, la madre lo aveva fatto chiudere in un manicomio, per salvarlo dalla prigione. Lo scomodo personaggio, in vita, come in morte, ha turbato la città.

Valutazione Pastorale

Soggetto e regìa, pur ispirandosi alla figura di un cattedratico, che fu insigne e carismatico, non hanno voluto fare la biografia del matematico Renato Caccioppoli. Questa è la cronaca di una settimana angosciosa e si pensa che nelle intenzioni il personaggio debba risultare valido in quanto tale, inquadrato in una Napoli al limite dello sfascio, ma in sostanza astratto e lucido nella sua veglia mortale, ormai quasi fuori tempo e in totale autodistruzione. Alle sue spalle delusioni affettive e politiche, personaggi (ad esempio la moglie Anna) diventati irrecuperabili e rifiutabili per precisa scelta; nella vita quotidiana la matematica come supporto e metodo sul piano intellettuale e morale, l'affetto a tratti anche ironico per gli allievi, la bontà verso poveri ed irregolari ed il bere smodato, nell'ansia di sfumare e cancellare i ricordi più pungenti. Il guaio del film (opera prima del regista teatrale Mario Martone, prima nonché ambiziosa, anzi ardua) è che può sollecitare quella "pietas" che sempre è dovuta, mai l'autentica emozione, malgrado la corposità del personaggio, la sua insolente eccentricità, l'amarezza ed il cinismo. La crisi esistenziale di Renato è palpabile, il suicidio gli appare l'unica soluzione al degrado personale e ad un nichilismo a dir poco devastante. Purtroppo, un siffatto tedio del vivere e il "cupio dissolvi" possono preludere soltanto a programmare il proprio suicidio, fra una pizza con gli allievi ad una mandolinata patetico-beffarda, dopo un percorso quotidiano fatto di gesti che suonano distacco e addio. Il consenso è impossibile ed il messaggio non può risultare che negativo, tanto più che il suicidio, nulla mai costruendo, appare suggellare la vicenda con la ennesima sfida del cinismo alle leggi ed alle finalità della Vita che è stata donata all'Uomo. Tale vicenda trova la sua pertinente e persuasiva cornice in una Napoli in buona parte notturna, fatiscente, nella decadenza degli edifici e dei vicoli (ottima la fotografia, che è di Luca Bigazzi), quasi in sintonia con la morte autoannunciata del professore deluso. A parte il contenuto di cui si è detto, certe cadute di tenuta e di toni bisogna pur rimarcarle: quella insopportabile mandolinata, per esempio, la vacua ed inutile scena al "San Carlo", l'episodio dei "femminielli" assemblati in un vicolo - una sceneggiata petulante e ingombrante - nonché i funerali del Nostro con centinaia di figuranti completamente asciutti, dopo uno di quei temporali che solo a Napoli sembrano furiosi come un tornado. Ottima l'interpretazione di Carlo Cecchi, bizzarro e scettico.

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