MUSIC BOX – PROVA D’ACCUSA ***

Valutazione
Accettabile-riserve, Complesso, Dibattiti
Tematica
Giustizia, Libertà
Genere
Drammatico
Regia
Constantin Costa-Gavras
Durata
123'
Anno di uscita
1990
Nazionalità
Stati Uniti
Titolo Originale
MUSIC BOX
Distribuzione
Penta Distribuzione
Soggetto e Sceneggiatura
Joe Eszterhas liberamente ispirato al libro "Quiet Neighbours" di Alian A. Ryan
Musiche
Philippe Sarde
Montaggio
Joele Van Essenterre

Sogg.: liberamente ispirato al libro "Quiet Neighbours" di Alian A. Ryan - Scenegg.: Joe Eszterhas - Fotugr.: (scope-a colori) Patrick Blossier - Mus.: Philippe Sarde - Montagg.: Joele Van Essenterre - Dur.: 123' - Produz.: Irwin Winkler

Interpreti e ruoli

Jessica Lange (Ann Talbot), Armin Mueller-Stahl (Mike Laszlo), Frederick Forrest (Jack Burke), Lukas Haas (Mikey Talbot), Donald Moffat (Harry Talbot), Cheryl Lynn Bruce, J.S. Block

Soggetto

a Chicago l'avvocato penalista Ann Talbot si trova costretta a difendere in un processo di estradizione il proprio padre Mike Laszlo, naturalizzato americano da oltre quaranta anni, accusato di essere stato un criminale di guerra nella natia Ungheria. Operaio ormai in pensione, Laszlo, onestamente ha cresciuto la famiglia, e rimasto vedovo, attualmente è molto amato dalla figlia Ann e dal nipotino Mikey. In tribunale sia l'abilità di Jack Burke, il procuratore distrettuale, sia le impressionanti testimonianze addotte da alcuni ex compratrioti cominciano a far vacillare la difesa di Ann. Per completare le deposizioni, l'equilibrato giudice Silver si reca con Ann Talbot e Jack Burke a Budapest per ascoltare un uomo anziano ospedalizzato, teste determinante nel processo. Dimostrata l'infondatezza delle accuse Mike Laszlo viene così assolto. Frattanto Ann, tornata a Chicago, ritira in un banco di pegni con una polizza avuta da una donna conosciuta a Budapest un music box: messo in funzione fuoriescono delle fotografie che dimostrano la colpevolezza di Mike Laszlo.

Valutazione Pastorale

il film è una rinnovata testimonianza dell'impegno civile di Costa-Gavras, della sua lotta tenace contro gli orrori di ogni dittatura e della appassionata ricerca del regista su tutto ciò che attiene alla Verità nell'ambito processuale. Ma esso pone, come è del resto costume del regista, anche veri casi di coscienza, soprattutto qui in cui sotto la toga del difensore batte il cuore di una donna avvinta di tenero amor filiale. Con grande stringatezza e con notazioni intelligenti quanto calibrate, in una atmosfera che è di angoscia e scavando senza incertezze nelle psicologie, Costa-Gavras immette lo spettatore nelle spire di un processo drammatico, in cui la naturale freddezza della procedura è in permanenza soggetta a dubbi e conferme equamente distribuiti. Nello sfondo le atrocità, le torture orrende e ignominiose di anni che già appaiono lontani, le efferatezze dei carnefici e le sofferenze delle vittime, che tutto impone di non dimenticare. Nè mancano precise allusioni a complicità neppure tanto occulte, quando a guerra conclusa certe frettolose naturalizzazioni offrivano non di rado interessate coperture ad agenti ex-nemici, o a singoli comunque compromessi, poi installatisi in taluni Paesi e diventati (come nel caso di Mike Laszlo) insospettabili di vita esemplare. Da ciò una incessante, forte tensione drammatica, nell'urto fra verità possibili ed apparenze più che plausibili, con un ritmo via via più serrato ed insistente fino alla tormentosa evidenza del finale. Punti di forza del film il rapporto padre-figlia nonché nel gioco nelle ambiguità, le varie deposizioni nell'aula del processo, che fanno riecheggiare anni e ricordi terribili. Non si può sottacere che Costa-Gavras non disdegna anche una certa spettacolarità; poichè l'implacabile vicenda è consegnata ad un film che ha la struttura di un thriller, la cui soluzione viene fuori addirittura da un innocente carillon, vera "boite" a sorpresa, carica di zampilli sonori e di facce delinquenziali. Lì è la Verità, che lacera il cuore della tenace avvocatessa, decisa a denunciare l'amatissimo papà, purchè il processo sia riaperto e la Giustizia, sia pure tardi, trionfi. Fino all'ultimo, tuttavia ed in piena coerenza con la costruzione del thriller, nessuno può affermare in tutta certezza che il quieto immigrato dagli occhi azzurri sia il feroce boia di Budapest. Il lavoro svolto da Costa-Gavras è ottimo, per densità, essenzialità e per onestà di intenti, esso si traduce in immagini di forte impatto e una vivida maestria di stile. Interpretazione validissima quella di Armin Muller-Stahl, che ha disegnato un vecchio oggi tanto esemplare, quanto feroce e spietato nel passato. Bene gli altri, da Jessica Lange a Frederic Forrest.

Le altre valutazioni

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