Sola al mio matrimonio

Valutazione
Complesso, Problematico, Adatto per dibattiti
Tematica
Donna, Emarginazione, Famiglia - genitori figli, Rapporto tra culture
Genere
Drammatico
Regia
Marta Bergman
Durata
121'
Anno di uscita
2020
Nazionalità
Belgio
Titolo Originale
Seule à mon mariage
Distribuzione
Cineclub Internazionale
Soggetto e Sceneggiatura
Marta Bergman, Laurent Brandenbourger, Boris Lojkine, Katell Quillevere,
Fotografia
Jonathan Ricquebourg
Musiche
Vlaicu Golcea
Montaggio
Frédéric Fichefet
Produzione
Caroline Bonmarchand, Tanguy Dekeyser, Jean-Yves Roubin, Ada Solomon, Cassandre Warnauts, Arlette Zylberberg

Interpreti e ruoli

Alina Serban (Pamela), Tom Vermeir (Bruno), Rebeca Anghel (Bebè), Marie Denarmaud (La poliziotta), Marian Samu (Marian), Viorica Tudor (La nonna), Johan Leysen (Il padre di Bruno), Karin Tanghe (La madre di Bruno)

Soggetto

Pamela è una giovane Rom dal carattere esuberante. Vive con la sua bambina e la nonna in un piccolo centro della Romania. Quando decide di ribellarsi a una quotidianità soffocante, parte per il Belgio con la speranza di un matrimonio per cambiare il proprio destino…

Valutazione Pastorale

Nata in Romania e diplomatasi poi all’Insas di Bruxelles, Marta Bergman ha seguito da subito la strada del documentario, intenzionata a conoscere da vicino il proprio Paese e, in particolare, le comunità Rom ivi residenti. Realizza alcuni titoli che prendono spunto da fatti reali accaduti in vari villaggi locali. Uno di questi riguarda proprio una ragazza gitana che prepara la valigia per andare in Germania “a far bere gli uomini nei bar”. Allargato e con qualche modifica, il meccanismo narrativo resta alla base anche di questo che è il film d’esordio della Bergman, la quale dichiara di non voler fare un’opera appiattita sulla realtà dei fatti, e tuttavia concepita come omaggio a una dimensione, quella dei Rom, complessa e sfaccettata. La regia passa dalle parole ai fatti, quando segue le vicissitudini di Pamela, la sua conoscenza con Bruno, ragazzo belga introverso, timido, di poche parole, la voglia di lei di trovare una sistemazione e una casa sicura. Le cose prendono una piega imprevista, perché la irrequieta vivacità della ragazza scalpita e deraglia. Resta alla fine il sorriso disarmante della bambina a dire che cosa conta nei valori e negli affetti che ci circondano. La parabola di Pamela diventa quella di una donna arrabbiata con sé e con gli altri, incapace di trovare il giusto equilibrio, destinata a essere perennemente alla ricerca di qualcosa che non trova. Forse è l’altrove che non esiste, la tranquillità che si chiama insofferenza. Una condizione abituale per tanti irrequieti nel mondo attuale. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni per avviare riflessioni sulla precarietà di popolazioni ricche di fantasia e vitalità, in difficoltà con le trappole nascoste nella società contemporanea.

Le altre valutazioni

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