UNA STORIA SEMPLICE **

Valutazione
Accettabile-riserve, Realistico
Tematica
Genere
Drammatico
Regia
Emidio Greco
Durata
96'
Anno di uscita
1991
Nazionalità
Italia
Titolo Originale
UNA STORIA SEMPLICE
Distribuzione
Columbia Tri Star Films Italia
Soggetto e Sceneggiatura
Andrea Barbato, Emidio Greco tratto dal romanzo "Una storia semplice" di Leonardo Sciascia
Musiche
Luis Enrique Bacalou
Montaggio
Alfredo Muschietti

Sogg.: tratto dal romanzo "Una storia semplice" di Leonardo Sciascia - Scenegg.: Andrea Barbato, Emidio Greco - Fotogr.: (panoramica/a colori) Tonino Delli Colli - Mus.: Luis Enrique Bacalou - Montagg.: Alfredo Muschietti - Dur.: 96' - Produz.: BBE International, Claudio Boniventa Productions

Interpreti e ruoli

Gian Maria Volontè (Franzò), Ennio Fantastichini (Il Commissario), Richy Tognazzi (Il Brigadiere), Massimo Dapporto (Il Questore), Massimo Ghini (Rappresentante medicinali), Paolo Graziosi (Colonnello Carabinieri), Gianluca Favilla (Il Procuratore), Gianmarco Tognazzi, Tony Sperandeo, Omero Antonutti, Macha Meril

Soggetto

la sera della vigilia di S. Giuseppe, l'anziano diplomatico Giorgio Roccella, assente dal paese da molti anni, chiama la polizia di Monterosso, perché nella propria villa isolata ha trovato qualcosa di strano. Il brigadiere andrebbe subito, ma il commissario gli dice di aspettare l'indomani, perché la telefonata potrebbe essere uno scherzo, e di non cercare lui comunque, che andrà a passare la festa in campagna. Ma il mattino seguente il brigadiere e un agente trovano nella villa il cadavere del proprietario (ucciso da una Mauser, che è accanto a lui) e col braccio appoggiato su di un foglio, su cui ha scritto: "Ho trovato". Inoltre i molti magazzini che circondano il cortile sono sprangati con catenacci nuovissimi. Giungono il questore, il colonnello dei carabinieri e il commissario, e la prima ipotesi è di un semplice suicidio. Ma il brigadiere è certo invece trattarsi di omicidio, e lo stesso pensa il professor Franzò, vecchio amico del morto, che depone di aver ricevuto una visita dal Roccella, appena giunto in paese, e più tardi una sua telefonata allarmata, in cui comunicava di aver trovato installato nella villa il telefono (a sua insaputa) e di aver rinvenuto un certo quadro di valore, da tempo sparito. Però essendo in dialisi, Franzò non ha potuto raggiungere subito l'amico che nel frattempo è morto. L'indomani, poichè il treno è fermo nella campagna da lungo tempo, il capotreno chiede ad un rappresentante di medicinali, che passa lì vicino in auto, di andare ad avvertire il capostazione della stazioncina di Monterosso. Ma, poichè il disco resta rosso, il capotreno va personalmente a piedi alla stazione, dove trova il capostazione e il manovale ammazzati. Intanto è giunto anche il procuratore della Repubblica, ex alunno del professor Franzò, che questi ha sempre giudicato un inetto. Il rappresentante va poi a deporre che egli ha portato il messaggio a colui, che ha creduto il capostazione, ma ha anche visto due uomini che arrotolavano la tela di un quadro. A questo punto il commissario durante un sopralluogo alla villa, dove ha appena dichiarato di non essere mai stato, trova invece subito un interruttore nascosto. Perciò la mattina dopo spara per uccidere con la pistola il brigadiere, che però si salva e uccide il superiore. Le autorità decidono di archiviare come incidente la morte del commissario. Ormai tutto è chiaro, il commissario, evidentemente implicato in attività criminali, aveva ucciso Roccella, presentandosi alla villa in qualità di poliziotto, la "merce" preziosa, che vi veniva conservata, era stata trasportata di notte alla stazioncina dove c'erano complici, poi uccisi, e il rappresentante non aveva visto i due cadaveri. Ora egli riparte, ma subito riconosce nel viso di un prete della zona padre Cricco quello dell'uomo che egli ha creduto il capostazione. Vuol tornare alla polizia, ma poi decide di proseguire il viaggio per evitare guai.

Valutazione Pastorale

dominato dall'intensa interpretazione di Gian Maria Volontè, un professore Franzò "testimone" onnipresente dei mali della sua terra, universalizzati dal regista - come dall'Autore cui si ispira - a mali dell'Italia intera, il film di Emidio Greco è un'opera amara, non senza una venatura di fatalismo, che sembra piuttosto negare che "indagare sulle possibilità che ancora restano alla giustizia", in un paese nel quale la corruzione si presenta come mal comune, cui nessuno può sfuggire. È tuttavia un film che può scuotere le coscienze e indurre a riflettere sul come mai si annidino in ciascuno di noi le radici maligne di un potenziale profittatore e di un possibile criminale. Viene spontaneo avanzare un'ipotesi presente in sordina nel regista, ma chiaramente esplicitata nelle paginette essenziali di Leonardo Sciascia, di essere cioè "uno costretto a pensare in un universo di non pensanti"; ma anche formulare un proposito salutare, di non essere cioè fra coloro per i quali "non la speranza è l'ultima a morire, ma la morte l'ultima speranza", come Sciascia e Greco fanno dire con una specie di lucida disperazione al professore Franzò. Narrativamente il film presenta forse qualche dilatazione superflua (come la penosa sequenza fra moglie e figlio del diplomatico assassinato) e qualche passaggio improbabile (le gaffe del commissario e del prete: l'uno tanto sprovveduto da offrire a un candido brigadiere tutte le prove del proprio crimine; l'altro tanto sventato da tradire miseramente i propri retroscena criminosi di fronte a un incauto commesso viaggiatore), ma non perde il suo carattere di tutt'altro che immotivato "avvertimento" del degrado di un costume e di una cultura che vanno paurosamente dilagando. Oltre la bravura degli interpreti e l'inquietante "duplicato" di Sciascia rappresentato da Gian Maria Volontè; oltre la pregevole fotografia di Delli Colli e il coraggio civile di un regista a torto sottovalutato, il film è occasione di salutari riflessioni e per la giustizia di altrettanto salutari ripensamenti.

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