Golden Globe78 trionfo per “Nomadland” e “The Crown”. L’Italia c’è con Laura Pausini, per il miglior brano “Io sì (Seen)”

lunedì 1 Marzo 2021
Un articolo di: Sergio Perugini

“Nessuno ci crede, ma io sì”. Così dice una strofa del brano “Io sì (Seen)” cantato da Laura Pausini, un testo firmato Diane Warren e Niccolò Agliardi, che all’alba del 1° marzo ha vinto il Golden Globe come miglior canzone per il film “La vita davanti a sé” (“The Life Ahead”) di Edoardo Ponti. E a dire il vero noi ci credevamo da tempo, sin dallo scorso autunno, ascoltando il brano al lancio del film targato Palomar e portato in tutto il mondo da Netflix, forte di un intenso ritorno al cinema di Sophia Loren. Un grido di gioia incontenibile quello della Pausini, che ha dedicato il riconoscimento in primis all’Italia, poi alla sua famiglia e alla stessa Loren; la cantante emiliana ha ricordato inoltre come proprio 28 anni vinceva il Festival di Sanremo e iniziava il suo viaggio nella musica. Tra Los Angeles e New York, con premiazioni in streaming, si è tenuta dunque la 78a edizione dei Golden Globe, i premi della Hollywood Foreign Press Association, considerati l’anticamera degli Oscar (il 15 marzo saranno svelate le candidature agli Academy Awards). E i “Globes” quest’anno hanno incoronato in particolare il film “Nomadland” e la sua regista Chloé Zhao, come pure le serie Netflix “The Crown” e “La regina degli scacchi”.

Da Venezia77 a Hollywood, la poesia di “Nomadland” è inarrestabile
Alla Mostra del Cinema della Biennale di Venezia edizione 77 “Nomadland” è passato l’ultimo giorno del Concorso e ha stregato tutti, al punto da vincere il Leone d’oro come miglior film. E proprio dal Lido di Venezia è partita la lunga corsa internazionale dell’emozionante racconto firmato Chloé Zhao e con una Frances McDormand strepitosa. Ora ai Golden Globe il film ha incassato due premi di peso, miglior opera drammatica e regia di Chloé Zhao – che si impone nella storia del cinema come la seconda donna a vincere la statuetta dopo Barbra Streisand nel 1984 con “Yentl” –, spalancandosi ancor di più l’ingresso verso gli Oscar. Nella stessa categoria, a ben vedere, in questa edizione c’erano per la prima volta altre due registe in gara, l’inglese Emerald Fennell con “Promising Young Woman” e Regina King con “One night in Miami…”.
Gli altri premi. La miglior sceneggiatura è andata alla penna acuta di Aaron Sorkin per “Il processo ai Chicago 7”, mentre l’animazione come da previsione è per il riuscito film Disney “Soul” di Pete Docter, che si aggiudica anche la colonna sonora. Il film internazionale è ancora una volta di matrice sudcoreana (ma in verità targato Stati Uniti), “Minari” di Lee Isaac Chung, rivelazione al Sundance Film Festival 2020. L’opera si è imposta sull’italiano “La vita davanti a sé” di Ponti.
Sul fronte attori, qualche conferma e non poche sorprese. Come prevedibile, il Golden Globe per l’interpretazione drammatica è andato al compianto Chadwick Boseman, noto al grande pubblico per “Black Panther” nella saga Marvel, che ha convinto con il suo ultimo ruolo nel film “Ma Rainey’s Black Bottom”. Boseman è purtroppo scomparso prematuramente nell’agosto 2020 all’età di 44 anni. Con non poco stupore la cantante e attrice Andra Day, protagonista di “The United States vs. Billie Holiday”, scalza le favoritissime Frances McDormand (“Nomadland”), Carey Mulligan (“Promising Young Woman”) e Vanessa Kirby (“Pieces of a Woman”). Speriamo sinceramente che gli Oscar facciano giustizia, in primis per la veterana McDormand, davvero inarrivabile nel suo ruolo, così intesa, trascinante e struggente.
Fronte commedia – sì, i Golden Globe distinguono tra cinema drammatico e commedia/musical – si impongono il discutibile stile comico grottesco di Sacha Baron Cohen per il sequel di “Borat” e la sempre sorprendente Rosamund Pike, nella black comedy “I Care a Lot”. Come non protagonista, infine, torna sul tetto di Hollywood Jodie Foster per “The Mauritanian” di Kevin Macdonald, ancora inedito in Italia; non protagonista maschile è poi Daniel Kaluuya per “Judas and the Black Messiah”.

“The Crown 4” senza rivali: serie dell’anno e migliori attori
Lo abbiamo detto più volte: God Save the Queen… E anche Peter Morgan, il geniale autore della serie inglese “The Crown” targata Netflix. La quarta stagione, quella che racconta i travagliati e trascinanti anni ’80, con il matrimonio tra Carlo e Lady D. e i non facili rapporti tra la regina e il primo ministro Margaret Thatcher, ha letteralmente sbancato non sono nelle visualizzazioni su piattaforma ma anche ai Golden Globe. “The Crown 4” ha infatti vinto nella categoria miglior serie drammatica, e i suoi interpreti hanno fatto piazza pulita di statuette nelle varie categorie: Josh O’Connor (principe Carlo) è il miglior attore drammatico, Emma Corrin (Lady D) miglior attrice drammatica, Gillian Anderson (The Iron Lady) è la miglior attrice non protagonista.
Nella sezione miniserie si è imposta come da previsione “La regina degli scacchi” (sempre Netflix), anche se gli avversari erano molto agguerriti, a cominciare da “The Undoing” o “Unorthodox”; la miniserie impone anche la protagonista Anya Taylor-Joy nella categoria miglior attrice.
Applausi infine per la serie comica targata Apple Tv+ “Tel Lasso”, che incassa il Golden Globe per l’attore protagonista nonché ideatore Jason Sudeikis. A vincere il titolo di miglior serie comica è però “Schitt’s Creek”, già rivelazione agli scorsi Emmy, serie giunta alla sesta stagione negli Stati Uniti ma ancora non disponibile in Italia.

Articolo disponibile anche sul portale dell’Agenzia SIR

Nomadland

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