Il dramma esistenziale da Oscar “Sound of Metal” di Darius Marder. Un viaggio tra le vibrazioni del silenzio

sabato 1 Maggio 2021
Un articolo di: Sergio Perugini

Tra le sorprese degli Oscar c’è “Sound of Metal”, esordio alla regia dello sceneggiatore Darius Marder con protagonista Riz Ahmed – tra i suoi titoli “Il fondamentalista riluttante” (2012) di Mira Nair e “I fratelli Sisters” (2018) di Jacques Audiard –, film disponibile sulla piattaforma Prime Video di Amazon. Racconto “in soggettiva” di un batterista rock che perde l’udito, chiamato a ridisegnare il perimetro della propria esistenza accettando anzitutto la sua sordità. Forte di sei candidature ai 93. Academy Award tra cui miglior film, attori e sceneggiatura, “Sound of Metal” ha conquistato le statuette per suono e montaggio. Un’opera asciutta, ruvida, puntellata da lampi di lirismo che apre all’incontro con la grazia, alla riconciliazione. A questo viaggio alla riscoperta di sé è dedicato il punto streaming Cnvf-Sir di questa settimana.

L’incubo di ogni musicista
Un bel colpo di fulmine per il film statunitense “Sound of Metal”, primo lungometraggio dello sceneggiatore Darius Marder, noto per il copione di “Come un tuono” (“The Place Beyond the Pines”, 2012) di Derek Cianfrance. Nonostante l’iter distributivo travagliato, complicato dalla pandemia da Covid-19, “Sound of Metal” ha acquisito grande visibilità internazionale grazie alla piattaforma Prime Video di Amazon, dove figura dallo scorso dicembre 2020. Ad accendere però i riflettori su quest’opera sono intervenuti i premi della stagione, Oscar in testa, dove correva per 6 statuette, alla pari con “Nomadland”, “Minari” o “The Father”. Di Oscar ne ha vinti due tecnici, ma decisamente significativi: per il miglior montaggio e per il suono. E proprio la cura del suono è la cifra più bella dell’opera, sì perché “Sound of Metal” è un ruvido e suggestivo viaggio nell’esistenza di un musicista, un batterista di hard rock, che tutt’a un tratto viene sopraffatto dalla sordità. Si scopre avvolto dal silenzio e deve reimparare la grammatica del comunicare.
La storia. Stati Uniti oggi. Ruben (Riz Ahmed) e Lou (Olivia Cooke) sono un duo di musica rock che si esibisce lungo il Paese spostandosi di locale in locale; lui suona la batteria, lei invece è la voce solista. Sono anche una coppia, ormai stabile da quattro anni, e vivono in una casa-camper che li conduce ovunque siano richieste le loro performance. Durante un concerto Ruben viene assalito da un ronzio, un frastuono crescente. Destabilizzato, scappa subito in farmacia e da lì si fa prescrivere una visita da uno specialista. La diagnosi è pressoché senza appello: perdita dell’udito, irreversibile. Ruben piomba nel silenzio, e di riflesso nella disperazione.
Spinto a reagire dalla compagna, il giovane si reca in una struttura di accoglienza gestita dall’ex veterano Joe (Paul Raci), anche lui non udente, che ha aperto uno spazio di formazione per adulti e bambini, un luogo dove anzitutto accettare la propria condizione e poi dove imparare la lingua dei segni, per poter vivere un’esistenza piena e regolare, senza (auto)limitazioni. Non poco recalcitrante, Ruben accetta il compromesso, che prevede persino la separazione dalla sua Lou; il giovane inizia un percorso di lettura interiore, di accettazione di sé, superando le fratture accumulate negli anni, a cominciare dallo smarrimento nella droga. Un viaggio senza ritorno verso un domani forse migliore, comunque diverso…

L’accettazione della sordità, e la scoperta della voce di Dio
“La sordità non è un handicap”. Questo è uno dei punti chiave su cui si fonda il metodo, il cammino, che Joe traccia a Ruben. Non ci si deve nascondere dietro scuse o frustrazioni: Joe chiede a Ruben di accettarsi, di amarsi, di ricominciare a vivere in pienezza, senza sentirsi limitato o amputato. Seppure non udente, Ruben è vivo; è chiamato a vivere al meglio l’esistenza che gli viene offerta. E ancora, quando il giovane insegue con disperazione la possibilità di un intervento chirurgico capace di ridargli parzialmente l’udito, Joe lo scuote e lo invita a non percepirsi come un essere umano difettoso o rotto. Inoltre Joe conduce il fermamente ateo Ruben a scoprire la dimensione del silenzio, ad abitarla con sguardo rinnovato: uno spazio dove manca sì il sonoro ma si percepisce in maniera nitida la voce di Dio, la sua presenza. Alla fine, non sappiamo se Ruben deciderà di ascoltare quella Voce, ma di certo non ne potrà più ignorare la presenza. Di certo, il giovane imparerà a non avere più paura del silenzio, scoprendo persino prospettive inedite nei confronti della vita.

Racconto “in soggettiva” che spiazza e ammalia
I due Oscar per suono e montaggio sono davvero meritati, perché “Sound of Metal” conquista proprio per la capacità di accompagnare lo spettatore nelle pieghe dell’esistenza di una persona non udente. Il regista governa il suono, la sua presenza e assenza, per entrare “in soggettiva” nella condizione di Ruben. Con lui avvertiamo prima le dure note rock, poi il rumore confuso degli acufeni; infine lo smarrimento progressivo dell’udito, il diradarsi definitivo dei suoni. Dopo, le inquadrature si fanno mute e a guidarci sono gli occhi ora smarriti ora furiosi del musicista. Grazie a questa convincente scelta di regia, lo spettatore fa esperienza della condizione del protagonista, si immedesima in lui, aprendosi all’incontro con il silenzio.
Oltre alla prova di Darius Marder, senza di dubbio di grande maturità, a imprimere forza narrativa al film “Sound of Metal” è il cast tutto, il gruppo di attori composto da professionisti ma anche da interpreti presi dalla strada, bambini e adulti realmente non udenti. A brillare sono soprattutto Riz Ahmed e Paul Raci, interpreti di Ruben e Joe, chiamati a un non convenzionale dialogo allievo-maestro. I due si mettono in gioco con grande espressività e intensità, dando corpo a stati d’animo ed emozioni in primis con gli occhi, poi attraverso la condivisione di una nuova grammatica: il lingua dei segni e il linguaggio del cuore, la costruzione di un patto fiduciario-formativo.
“Sound of Metal” si rivela pertanto un’opera che convince e conquista, per la regia robusta, le interpretazioni vigorose e delicate al tempo stesso, cesellate da commovente introspezione. Un film duro, spigoloso, potente che non può lasciare indifferenti. E soprattutto da non etichettare “banalmente” come film sulla condizione di persone con disabilità: è un racconto di formazione sul valore della vita, in ogni sua angolatura. Un inno alla gioia sulle vibranti note del rock…
Dal punto di vista pastorale “Sound of Metal” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti. Per i temi in campo, scene e linguaggio, il film è indicato per un pubblico adulto o di adolescenti accompagnati.

Articolo disponibile anche sul portale dell’Agenzia SIR

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