Migrazioni e solidarietà – Scheda n.4, Firenze 2015

martedì 27 Ottobre 2015
Un articolo di: Redazione

 

Contro la cultura dello scarto

«In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!» (Francesco, Lampedusa 8 luglio 2013). Risuona ancora forte il grido di dolore di papa Francesco nel suo viaggio a Lampedusa nel 2013 dinanzi a una delle grandi tragedie del mare, al naufragio di migranti in cerca di riscatto sul suolo europeo. Papa Francesco nel corso del suo pontificato è tornato più volte sul tema, richiamando la Chiesa tutta a opporsi alla dilagante cultura dello scarto e alla globalizzazione dell’indifferenza, mettendo invece in primo piano una convinta solidarietà. Riflessione che ben si inserisce nell’orizzonte del Nuovo umanesimo, nell’appuntamento della Chiesa Italiana al Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze 2015. 

 

Cinema e migrazioni

Il cinema possiede da sempre uno sguardo sociale. È un potente occhio che amplia la conoscenza dello spettatore e lo accompagna a relazionarsi con temi e realtà spesso emarginate, con le periferie dell’esistenza. Negli anni Duemila molti sono i film italiani e internazionali che hanno affrontato le migrazioni, tratteggiando anche l’urgenza di gestire queste problematiche con sensibilità e solidarietà. Da L’ospite inatteso (The Visitor, 2007) di Tom McCarthy a Welcome (2009) di Philippe Lioret, ricordando certamente anche Terraferma (2011) di Emanuele Crialese, Il villaggio di cartone (2011) di Ermanno Olmi e Miracolo a Le Havre (Le Havre, 2011) di Aki Kaurismäki. Inoltre, La gabbia dorata (La jaula de oro, 2013) di Diego Quemada-Diez oppure Io sto con la sposa (2014) di Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry e Antonio Augugliaro.

 

Io sto con la sposa e Il villaggio di cartone

Due opere offrono l’occasione per accostarsi al tema scelto per questa quarta scheda, “Migrazione e solidarietà”: Io sto con la sposa e Il villaggio di cartone. 

Io sto con la sposa (2014) di Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry e Antonio Augugliaro è la storia di un finto matrimonio inscenato da un poeta palestinese e da un giornalista italiano per aiutare cinque migranti in fuga dalla guerra nei propri Paesi verso la Svezia. Il finto matrimonio è l’espediente che trovano per superare la burocrazia e i controlli alle frontiere. Un vivace e colorato viaggio di quattro giorni e tremila chilometri per approdare in terra svedese. Il film presentato “fuori concorso” nella sezione Orizzonti della 71. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia 2014 si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico anche per le modalità di produzione, grazie a un progetto di crowdfunding. A Venezia 71. Io sto con la sposa si è aggiudicato anche il Premio FEDIC – Federazione Italiana dei Cineclub perché «il film incarna un’idea di cinema eticamente combattiva, e quindi di grande rilievo dal punto di vista conoscitivo e didattico». 

A offrire uno sguardo di senso sul tema dell’accoglienza dell’altro è poi Il villaggio di cartone (2011) di Ermanno Olmi, “fuori concorso” alla 68. Mostra del Cinema della Biennale di Venezia 2011. È la storia di un anziano prete sul tramonto della vita, cui viene svuotata la chiesa, perché inutile, perché senza più fedeli. Non serve più l’altare, viene rimosso il crocifisso e rimangono sparpagliati solo i banchi vuoti. Una notte la chiesa si anima di immigrati clandestini, mentre fuori circolano squadre in cerca di immigrati da consegnare alla Polizia. Il prete spalanca le porte a questa comunità di diseredati, che si accampano tra i banchi, issando un villaggio di cartone. Olmi torna al cinema asciutto della meditazione e della preghiera. Come il protagonista, anche il regista è stanco, affaticato, in qualche momento meno incisivo: e il copione perde un po’ lucidità. Ma la carica di spiritualità che emana dalle immagini è intatta. E interpella tutti. «Il regista bergamasco si rivolge anzitutto alla società civile, alle istituzioni preoccupate di assicurare un ordine asettico, ma non delle persone, delle drammatiche condizioni in cui vivono e che li spinge a gesti estremi. Si appella, inoltre, alla Chiesa esortandola a stare accanto agli ultimi, figurae Christi provenienti dai margini della società; a non preoccuparsi di denudare una parrocchia, perché poco popolosa, riscoprendo piuttosto i fondamenti del sacerdozio, della sua missione di guida per la comunità, soprattutto per quei figli più disgraziati» (D.E. Viganò, D. Cornati, Il fuoco e la brezza del vento. Cinema e preghiera, San Paolo, Milano 2015, p. 106).

 

La sequenza del film Il villaggio di cartone

La sequenza scelta del film Il villaggio di cartone è il dialogo tra il sacerdote anziano, cui presta il volto Michael Lonsdale, e il sagrestano interpretato da Rutger Hauer. È probabilmente il passaggio più intenso e significativo del film.

 

Sagrestano: Perché ha lasciato entrare quella gente nella nostra chiesa? Perché?

Prete: Perché è una chiesa!

Sagrestano: Quella è tutta gente diversa. Non può essere come noi…

Prete: E noi? Come siamo noi?

Sagrestano: Avere a che fare con loro è un rischio per tutti.

Prete: Quando la carità è un rischio, quello è il momento della carità.

 

 

PER APPROFONDIRE

 

Io sto con la sposa

Commissione Nazionale Valutazione Film CEI – Cnvf.it: “Si tratta del resoconto in presa diretta di una storia realmente accaduta sulla strada da Milano a Stoccolma tra il 14 e il 18 novembre 2013. (…) Il gruppo di registi segue con spigliatezza le peripezie dei protagonisti, lasciando ampio campo libero per parlare, dialogare, esprimere desideri, sogni, cercando di dimenticare i tristi motivi della guerra ma di conservare una giusta nostalgia per le terre di origine. Senza pedanteria né banalità i temi dell’incontro tra culture emergono con prepotenza: e sono proprio quelli che i lacci stretti della burocrazia cerca di tenere ai margini. Il gruppo infatti opera in clandestinità e arriva a destinazione senza aver commesso particolari negatività. Più che mai quindi, questo non è solo un film ma un grido di libertà e di freschezza: fatto di voci, colori, vitalità. Imperfetto, sporco e vitalissimo come ogni gesto di ribellione”.

 

Il villaggio di cartone

Rivista del Cinematografo – Cinematografo.it: “(…) con immagini caravaggesche ad alto voltaggio simbolico, il potere alla Parola (al limite del didascalico) e una pratica di vita nicciana, che tra istituzione e fede non ha dubbi, tra incantare e dire non ha tentennamenti: dire dell’uomo, senza voli pindarici, senza l’art pour l’art. Se si rischia il discorso troppo diretto e l’apologo morale, la realtà non esce mai di campo (…). Manicheismo a bada, dunque, rimane una lezione: non la vita come il cinema, ma il cinema come la vita. Perché non ci sono né migranti né stanziali, ma solo uomini. E sono tutti di passaggio” (F. Pontiggia, Il villaggio di cartone. Potere alla Parola: contro le istituzioni e per l’Uomo, la pratica di vita di Ermanno Olmi, in “Rivista del Cinematografo”, n. 10, ottobre 2011, p. 58).


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