#RomaFF13. Il punto sui film del sesto giorno: “Mio caro primo ministro” e “Jan Palach”

martedì 23 Ottobre 2018
Un articolo di: Sir-Cnvf

Siamo al sesto giorno di proiezioni all’Auditorium Parco della Musica e nella Selezione ufficiale sono stati presentati: il colorato mélo familiare “Mio caro Primo ministro” (“Mere Pyaare Prime Minister”) dell’indiano Rakeysh Omprakash Mehra e il film storico-drammatico “Jan Palach” di Robert Sedlácek. Ecco il punto del Sir e della Commissione nazionale valutazione film della Cei (Cnvf).

“My Dear Prime Minister”
Classe 1963, il regista indiano di Nuova Dehli Rakeysh Omprakash Mehra è un autore molto conosciuto nel circuito dei Festival internazionali, con partecipazioni a Cannes e a Venezia. Alla 13a Festa del Cinema di Roma porta “My Dear Prime Minister”, storia di impegno civile a favore delle periferie indiane; un film di denuncia dai toni comunque colorati e vivaci secondo i canoni tipici di Bollywood.
La storia: siamo a Gandhi Nagar, baraccopoli alla periferia di Mumbai, dove vive Kannu, bambino di otto anni insieme alla madre single Sargan. Nella città ci sono tutte le moderne comodità, ma purtroppo a mancare sono i servizi igienici. Una sera, uscita per soddisfare i suoi bisogni naturali, Sargam viene assalita e violentata. Da quel momento il piccolo Kannu si fa prendere dal pensiero fisso della costruzione di un bagno sicuro e protetto.
“Del cinema indiano – commenta Massimo Giraldi, presidente Cnvf – sappiamo che produce almeno un migliaio di film all’anno e che fa spesso ricorso alla commedia musicale. Ecco, allora, che questo copione mette al meglio insieme queste due esigenze, unendole con un terzo tema molto forte sotto il profilo sociale: la carenza dei servizi igienici. Così la trama, spesso virata sul melò romantico e attraversata da scene spettacolari di ballo e musica, resta concentrata sulla figura del ragazzino e sulla sua caparbietà nel raggiungere l’obbiettivo che si è posto. Il tema ha quasi sprazzi di neorealismo, con sguardo sul lieto fine, che manda tutti a casa contenti”.
Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, brillante e adatto per dibattiti.

“Jan Palach”
Robert Sedlácek è un regista cecoslovacco classe 1973. Diplomato alla nota scuola di cinema di Praga, Famu, ha all’attivo molti film e cortometraggi principalmente su temi sociali. A Roma porta il racconto drammatico dell’ultimo anno di vita dello studente Jan Palach, morto suicida per ideali di giustizia e libertà.
Il film, dal titolo appunto “Jan Palach”, si concentra sul 1967 e 1968 a Praga, quando Jan studente all’Università assiste quasi attonito all’invasione del proprio Paese da parte dell’esercito sovietico. Inizia per lui un percorso interno di ribellione allo status quo e all’improvviso decide di darsi fuoco in piazza per richiamare l’attenzione sulla violazione dei valori democratici.
“Jan Palach è figura centrale della recente storia dell’ex Cecoslovacchia – ricorda Giraldi – in un periodo in cui il regime sovietico stringeva le maglie sui Paesi satelliti dell’Est Europa e il clima da Guerra fredda era dominante. Questo studente irrompe sulla scena della storia con la sua forte volontà e determinazione, senza fare troppo rumore; limitandosi a osservare la progressiva perdita di libertà da parte dei cittadini, assiste al tentativo di suicidio di un uomo che si dà fuoco e decide pertanto di seguirne il provocatorio esempio. Si tratta di un film che trova il punto di forza nel basso profilo, che Palach riesce a tenere con uno sguardo quasi remissivo e indifeso. Il giovane in realtà trasmette tutta la rabbia incoercibile di chi non si vuole arrendere alla perdita della democrazia. E per fare questo sacrifica la propria vita. Figura di protesta che, a poco a poco, è uscita dalla memoria collettiva di un’Europa poi troppo cambiata (tra geografia e politica) per mantenere una identità stabile. Un film forte, duro, che aiuta a fare memoria delle pagine del Novecento spesso dimenticate e archiviate frettolosamente. Lo stile narrativo è buono e convincente, tutto giocato con misura e sottrazione”.
Dal punto di vista pastorale, il film è complesso, problematico e adatto per apprendimenti.

Articolo originale pubblicato su Agenzia Sir


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