Venezia77: Settimo giorno di gara con “Notturno” di Gianfranco Rosi e “Laila in Haifa” di Amos Gitai

martedì 8 Settembre 2020
Un articolo di: Sir-Cnvf

È il giorno del terzo film italiano in corsa per il Leone d’oro alla 77a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Parliamo di “Notturno”, documentario firmato da Gianfranco Rosi, che qui al Lido ha già vinto il premio più importante nel 2013 con “Sacro GRA”. Il doc “Notturno” ci conduce nei territori travagliati del Medio Oriente, non fotografando i fronti di combattimenti bensì l’umanità che resta e che con non poco affanno prova ad andare avanti. Secondo titolo in competizione è “Laila in Haifa” del regista israeliano Amos Gitai, importante autore più volte in cartellone alla Mostra. Fuori concorso la statunitense Regina King, attrice premio Oscar alla sua prima regia con “Una notte a Miami”, e la cinese Ann Hui, che presenta “Love after Love” in occasione della cerimonia del Leone d’oro alla carriera che le viene assegnato in questa edizione. Il punto dal Lido con la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) e l’Agenzia SIR sul sesto giorno di gara, martedì 8 settembre.

“Notturno”
“Nei luoghi in cui ho filmato giunge l’eco della guerra, se ne sente la presenza opprimente (…) Ho cercato di raccontare la quotidianità di chi vive lungo il confine che separa la vita dall’inferno”. Così indica nelle note di regia Gianfranco Rosi presentando il suo documentario “Notturno”, girato negli ultimi tre anni nei territori del Medio Oriente, nello specifico quelli al confine tra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano. Tratto distintivo della carriera del regista è il racconto nella forma del documentario del nostro presente, concentrandosi su periferie e frontiere esistenziali. Così ha fatto con “Sacro GRA” (Leone d’oro a Venezia nel 2013), mostrando la popolazione che vive ai margini di Roma lungo l’anello autostradale, come pure con “Fuocoammare” (Orso d’oro al Festival del Cinema di Berlino nel 2016), dando voce ai tanti disperati cercatori di futuro che si avventurano lungo le acque del Mediterraneo.
Con “Notturno” mostra la realtà nei territori vessati dalla guerra, tra le forze dell’Isis e quelle di resistenza; lo sguardo però non è su di loro, ma su famiglie, pescatori, come pure pazienti di un’ospedale psichiatrico, detenuti o madri in lutto per i figli strappati via dalla violenza. Ancora, bambini che ritornano a scuola in cerca di domani.
“Encomiabile è l’intenzione di Rosi – dichiara Massimo Giraldi, presidente della Cnvf e membro della giuria del premio cattolico internazionale SIGNIS – per lo sguardo con cui si pone verso i drammatici contesti che mostra. Il suo obiettivo non è ripercorrere la Storia, ma allargare il fronte dei territori e delle comunità verso l’oggi, senza particolari identificazioni geografiche o politiche. In questa ottica il regista si serve nuovamente di uno stile quasi neorealista, il più volte citato pedinamento zavattiniano, per mettere a fuoco persone e situazioni. Non sempre però l’obiettivo raggiunge i risultati attesi, infatti la narrazione non è del tutto fluida”.
“È un viandante che si dirige sugli avamposti umani più disgraziati e dimenticati – afferma Sergio Perugini, segretario della Cnvf e membro della giuria SIGNIS al Lido – Rosi mostra le ferite del presente, di chi vive ai margini. Il suo sguardo pertanto appare profondamente spirituale, dando parola e voce agli ultimi. Il suo è un cercare la verità, mettendola in racconto senza filtri e con poesia. ‘Notturno’, dunque, si inserisce nel cinema di impegno civile, come del resto i precedenti film di Rosi. Bellissimi i quadri visivi che compone, soprattutto i lamenti delle madri senza più figli, i dimenticati negli ospedali oppure le tracce di futuro negli occhi dei bambini, traumatizzati dalle violenze ma capaci di ricominciare. Punto debole dell’opera è forse una dilatazione descrittiva che sottrae pathos al racconto, come pure la mancanza di riferimenti puntuali che frenano una maggiore immersione e comprensione”.
Dal punto di vista pastorale il film “Notturno” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti in ambito pastorale ed educativo.

“Laila in Haifa”
Quest’anno festeggia i quarant’anni di attività dietro alla macchina da presa; è infatti del 1980 il primo documentario del regista israeliano Amos Gitai. In questi decenni si è dedicato al racconto della propria terra, spaccata dalla tensione tra israeliani e palestinesi; tra i suoi titoli più noti ricordiamo “Kadosh” (1999), “Free Zone” (2005) e “Ana Arabia” (2013). A Venezia77 presenta “Laila in Haifa”, la storia della trentenne Laila che dirige un noto locale nella città di Haifa, centro espositivo per artisti ma anche meta di incontri alla moda, frequentato tanto da israeliani quanto da palestinesi. La storia si svolge tutta in una sera, durante l’inaugurazione di una mostra fotografica, cui prende parte un’umanità varia, in cerca di evasione dai propri problemi e dalle tensioni sociali esistenti.
“Pur essendo un regista con alle spalle una lunga esperienza – indica Massimo Giraldi – Gitai incappa in una storia con molti punti oscuri. In effetti i destini delle persone in campo nel locale restano inespressi e la vicenda corre verso una conclusione poco soddisfacente. La narrazione, seppure inizialmente intrigante, non decolla affatto”.
“Gitai mette in scena un dramma sociale che ha i contorni del pièce teatrale – puntualizza Sergio Perugini – In un unico spazio e in una notte battuta dalla pioggia assistiamo ai tentativi di cambiamento di vita di alcune persone che vivono in una terra segnata dalla tensione costante. Seppure abbastanza chiaro l’intento di Gitai, l’opera appare confusa e poco risolta. È difficile trovare coinvolgimento nelle storie, perché i personaggi sono appena tratteggiati; man mano che la narrazione procede si aspetta un crescendo che però non arriva. Gitai rimane un importante e raffinato autore, che però questa volta non convince”. Dal punto di vista pastorale il film “Laila in Haifa” è complesso e problematico.

Fuori concorso “Love after Love” e “Una notte a Miami”
Due registe fuori concorso. Anzitutto la cinese Ann Hui, a Venezia77 leone d’oro alla carriera, che presenta il mélo “Love after Love” ambientato nella Hong Kong poco prima della Seconda guerra mondiale. Seguiamo le vicende della giovane Ge Weilong, che accolta nella casa della facoltosa zia si innamora di George, giovane playboy che è incapace di vivere la fedeltà di una storia. “Sarebbe stato bello averlo in concorso il film di Ann Hui – così sottolineano Giraldi e Perugini – la regista, al di là della convenzionalità della storia, che prende le mosse da un romanzo, colpisce per lo stile narrativo e la cura formale. Ann Hui governa personaggi, sentimenti e situazioni con grande padronanza e sensibilità. Un’opera del tutto raffinata e sontuosa, che affascina”. Consigliabile, poetico e per dibattiti.
Buona la prima infine per Regina King, attrice di lungo corso e onorata dall’Oscar nel 2019, che al suo esordio con “Una notte a Miami” fa centro con una storia poco conosciuta nell’America degli anni ’60, una vicenda che unisce in una notte Malcolm X, Cassius Clay, Sam Cooke e Jim Brown. Un racconto di confidenze, progetti ma anche di crescenti fratture sociali.
“Ha tutto per funzionare in sala: ritmo, dialoghi, interpreti e cura formale – concludono sempre Giraldi e Perugini – Il film di Regina King decolla con grande slancio, consegnandoci una storia abbastanza sconosciuta che annoda le vite di quattro personaggi destinati a incidere nel corso della storia del Paese a stelle e strisce, ma non solo. Atmosfera elegante, ma regia di taglio vigoroso che ben si lega a interpretazioni altrettanto forti”. Dal punto di vista pastorale, il film è consigliabile, problematico e per dibattiti.

Articolo disponibile anche su Agenzia SIR

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