54GMCS: “Ad Astra”, l’uomo nelle pieghe del cosmo

venerdì 21 Febbraio 2020
Un articolo di: Massimo Giraldi, Sergio Perugini

“Ad Astra” di James Gray con Brad Pitt nel ciclo dei 15 film-schede pastorali della Cnvf per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Il racconto di un uomo errante in cerca di sé, del senso della vita

Secondo film, seconda scheda pastorale, è “Ad Astra” del regista newyorkese James Gray. La Commissione nazionale valutazione film della CEI lo ha scelto per approfondire il Messaggio di papa Francesco per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia. L’opera, ammantata di un alone avventuroso sulla frontiera dello Spazio, è in verità un diario di bordo, un racconto del protagonista e delle sue fratture, degli irrisolti esistenziali a cominciare dalla famiglia. Un vibrante viaggio nel cuore del cosmo, che si rivela un viaggio nel cuore e nell’animo umano in cerca di pace e riconciliazione.

Uomini alla deriva
Stati Uniti. Roy McBride (Brad Pitt) è un cosmonauta abituato a missioni aspre e solitarie. Non ha paura, perché tiene tutto a distanza, emozioni e sentimenti compresi. Il suo matrimonio rischia di naufragare e la sua famiglia si è pressoché dissolta, quando il padre Clifford McBride (Tommy Lee Jones) è scomparso in una precedente missione nello Spazio. Dunque solo e senza aspettative nei confronti della vita, accetta di guidare un team sperimentale verso i confini (ipotizzabili) dell’Universo conosciuto. Un viaggio denso di imprevisti e rivelazioni…

Oltre la frontiera
Parlando di Spazio, subito vengono alla mente potenti quadri visivi del cinema dell’ultimo decennio. Anzitutto lo sguardo immersivo e rivoluzionario di Alfonso Cuarón con il suo “Gravity” (2013, 7 premi Oscar tra cui miglior regia), così come l’intenso racconto di Christopher Nolan con “Interstellar” (2014), senza dimenticare la spiazzante e poetica riflessione sulla vita di Terrence Malick in “The Tree of Life” (2011, Palma d’oro al Festival di Cannes). Frammenti di questo complesso e bellissimo immaginario si ritrovano nel film di James Gray “Ad Astra”, presentato in concorso alla 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia.
Gray – tra i suoi film si ricordano “I padroni della notte” (2007) e “C’era una volta a New York” (2013) – ci conduce nel buio dell’oscurità, nel cuore dello Spazio stellato per mettere a fuoco il rapporto uomo-Infinito, con richiami alla narrativa di Arthur C. Clarke e cinema di Stanley Kubrick. “Ho trovato – ha sottolineato il regista – una citazione di Arthur C. Clarke: ‘Esistono due possibilità: o siamo soli nell’universo, o non lo siamo. Entrambe sono terrificanti’. Allora ho pensato che non avevo mai visto un film su di noi, soli nell’universo. L’idea dei viaggi nello spazio è bella e terrificante al tempo stesso: io sono un grande sostenitore delle esplorazioni spaziali, che però a volte sono semplicemente un modo per fuggire. Questo mi ha trasportato in una dimensione intima: la storia di un padre e di un figlio. Spero che le persone capiscano che dobbiamo apprezzare le esplorazioni e amare la Terra. Bisogna preservare la Terra e i legami umani, a ogni costo”.
James Gray ben lascia intuire che andando al di là della dimensione del thriller avventuroso, giocato sul tema del viaggio nel cosmo, il film si trasforma in un’opera che scandaglia l’animo umano e i suoi tormenti, un mélo a sfondo familiare, tra strappi sentimentali e mancanze paterne. Con un uso suggestivo di movimenti di macchina, secondo una logica immersiva alla “Gravity”, un accurato lavoro cromatico che riflette gli snodi del viaggio e dell’animo, “Ad Astra” ci conduce apparentemente negli angoli più nascosti dell’universo, in cerca di scoperte rivoluzionare e risposte sul futuro dell’uomo; il viaggio dell’esploratore militare Roy McBride è però una discesa nelle crepe della materia umana, nei rivoli di sofferenze, silenzi, fotografie irrisolte del passato, cui cercare di dare senso, ordine.
Roy arriva quasi a smarrirsi del tutto, sia sulla Terra sia nello Spazio, pur di afferrare quelle risposte che lo riconducano a sé, a ricentrare la sua esistenza. Quali sono queste risposte? Cosa occupa il centro del nostro vivere? Sono i legami, il tessuto degli affetti familiari, che costituiscono un potente ancoraggio e che danno senso sotto questa misteriosa volta celeste.
Il racconto è molto dettagliato e affascinante, secondo i consueti canoni dell’industria di Hollywood. Oltre alla presenza significativa di effetti speciali e a un pregevole lavoro interpretativo di Brad Pitt, che si mette a nudo con tutti i suoi tormenti e sfumature, il film “Ad Astra” si giova anche delle musiche di Max Richter che accompagnano, al pari del gioco cromatico sopraindicato, lo stato d’animo del protagonista, il passaggio dal buio alla luce.
Nel complesso, il regista James Gray governa bene la “macchina film”, coniugando la spettacolarizzazione del racconto spaziale con gli sguardi introspettivi-esistenziali dell’astronauta Pitt. Dal punto di vista pastorale, il film è consigliabile, problematico e da proporre in occasioni di dibattito.

In evidenza, un momento del film
Uomini, eroi quotidiani, “che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili, combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi, quella dell’amore”. Le parole di papa Francesco nel suo Messaggio ben si adattano alla linea di racconto di “Ad Astra”. Il film, infatti, è la storia di un viaggio verso la rinascita, il recupero dell’amore in tutte le sue sfumature. Tra le sequenze in evidenza, si segnala la parte conclusiva del film (senza svelare troppo della trama), quando Roy si vede allo “specchio” e scioglie i nodi problematici che custodisce nel profondo, abbandonandosi poi al dolce ritorno a casa…

Ad Astra

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