FEDERICO FELLINI a 20 anni dalla morte – Un regista senza eredi

lunedì 28 Ottobre 2013
Un articolo di: Redazione

Dopo la coregia con Alberto Lattuada di “Luci del varietà” (1950), Federico Fellini esordisce in prima persona nel 1952 con “Lo sceicco bianco”, cui fa seguito tra il 1953  e il 1964, una serie di titoli ormai entrati nelle storia del cinema italiano e internazionale, da “I vitelloni” (1953) a “Giulietta degli spiriti” (1964). Dall’episodio “Toby Dammit” di “Tre passi nel delirio” 81968), prende il via quella che possiamo definire la seconda parte della carroera felliniana. Dopo il “Satyricon”(1968) e a seguire con altri nove titoili fino a “La voce della luna” (1989). L’ultima opera del riminese è un soggetto liberamente tratto dal romanzo “Il poema dei lunatici” di Ermanno Cavazzoni, protagonisti Roberto Benigni e Paolo Villaggio. Intorno a loro la consueta folla di facce, figure, maschere, tutte pronte a dare vita ancora una volta ad un sfrenato scenario dove vita vera e sogno si incontrano e si confondono. Rendiamo omaggio a Fellini, proponendo una sintesi della valutazione pastorale espressa dalla Commissione all’indomani dell’uscita del film.

VALUTAZIONE PASTORALE: ” (…) Un contenitore grandioso e colorito in cui momenti magici si alternano ad inserti tipicamente “amarcordiani”, mentre sberleffi e graffi, spinti fino alla beffa e al sarcasmo subentrano alle delicate malinconie delle memorie infantili, sempre in un gioco incessante fra reatà, iperreraltà ed immaginario. (…). Nessuno dei film di Fellini potrà  mai essere considerato molto facile: tutti vanno letti in filigrana, per le tante cose non dette, senza farsi suggestionare dai “mostri”, dalle frange e dalle bravure virtuosistiche, badando invece all’essenziale e ai contenuti. Qui la chiave di lettura è la poesia (incluso il paradosso della cattura della luna): solo la Poesia può consentirci il fascino del mistero e del silenzio, ricuperando memorie dolcissime, senza i lazzi, i clamori e le convulsioni di questo pazzo mondo. E’ doversoso ammettere che qualcuno dalla “Voce della luna” possa essere lasciato sorpreso e magari sconcertato, e può anche darsi che taluni dettagli gli risultino o superficiali, o meno graditi (si vedano ad esempio le poche e inopportune battute affidate ad un parrroco di paese). (…)”.

   (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 108 – 1990, pag. 110/112)

 


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