Orig.: Stati Uniti (1992) - Sogg. e Scenegg.: Lem Dobbs - Fotogr.(Panoramica/b.n. e a colori): Walt Lloyd - Mus.: Cliff Martinez - Montagg.: Steven Soderberg - Dur.: 97' - Produz.: Stuart Cornfeld, Harry Benn.
Interpreti e ruoli
Jeremy Irons (Franz Kafka), Theresa Russell (Gabriela), Joel Grey (Burgel), Ian Holm (Murnau), Jeroen Krabbe (Bizzlebek), Armin Mueller-Stahl (Grubach), Keith Allen (Ludwig), Alec Guinness, Simon McBurney, Vladimir Gut
Soggetto
Praga, anni 20. Nella città dominata dal misterioso Castello, in cui risiede ogni potere, lo scrittore Franz Kafka, ancora quasi sconosciuto, è impiegato in una grande società di assicurazioni, pesantemente burocratica, dove, timido e frustrato com'è, viene tiranneggiato perfino dall'ambiguo Burgel incaricato di consegnare e ritirare le pratiche. Recatosi all'obitorio per identificare il corpo del suo amico Eduard Raban, ritrovato nel fiume, Kafka apprende dal commissario Grubach che la polizia ritiene trattarsi di un suicidio, mentre Gabriela, che era l'amante del morto, è certa che egli sia stato ucciso, e cerca di far entrare Kafka nel gruppo di anarchici, di cui fa parte, ma lo scrittore rifiuta, accettando però di prendere con sé la valigetta di Raban, contenente una bomba. Quando anche Gabriela scompare, Kafka, sfuggito ad un rapimento, riesce ad introdursi nel Castello con l'aiuto di Bizzlebek, un becchino, grande ammiratore delle sue opere, che lo guida ad un passaggio segreto. Lo scrittore attraversa spaventosi locali, in cui trova dei medici, diretti dal dottor Murnau, i quali fanno crudeli esperimenti su alcuni uomini, per renderli asserviti al sistema. Anche Gabriela si trova lì ed è torturata a morte, ma si mostra molto coraggiosa davanti ai suoi aguzzini. Intanto la bomba, che Kafka aveva portato nella valigetta, esplode; lo scrittore fugge dal castello fra molti pericoli, dopo aver visto Murnau ucciso da una delle sue vittime, e agganciato ad un meccanismo, che lo trasporta verso la rossa cupola di vetro, che sovrasta il locale. Più tardi, tornato in città, deve recarsi all'obitorio, per identificare Gabriela, della quale egli sa bene che è stata uccisa, ma, poiché il commissario Grubach gli propone la solita tesi del suicidio, egli l'accetta per paura. Sentendosi per ciò che ha visto al Castello in qualche modo "complice" della orrenda realtà, Kafka riprende poi il suo monotono lavoro in ufficio. Quindi scrive una lettera al suo autoritario padre, in cui gli dice di aver sempre creduto essere meglio sapere la verità, piuttosto che ignorarla, e mentre, ormai malato gravemente, sputa sangue, aggiunge di sperare che le differenze che li dividono rendano il loro vivere e il loro morire più lievi.
Valutazione Pastorale
In questo film il regista Steven Soderbergh affronta un soggetto di grande difficoltà, data la complessa personalità del grande e originalissimo scrittore, ma si mantiene ad un livello alquanto superficiale, servendosi di lui solo come un pretesto per creare degli incubi. Infatti, se la presentazione dell'ambiente (la Praga tetra e opprimente in bianco e nero, ispirata ai film espressionisti tedeschi) è abbastanza efficace, l'autobiografia fantastica di Kafka, che è alla base del soggetto, e usa il luogo comune dei riferimenti alle opere più famose dello scrittore, non può che lasciare insoddisfatti. Il "Castello" è il lavoro di Kafka, cui il film si riferisce più chiaramente, citandone personaggi precisi, come i due bislacchi assistenti, ma soprattutto insistendo sul misterioso Potere, che in esso risiede, e che tutto controlla e comanda, pur non incarnandosi mai in un uomo, né in un gruppo di potenti, cosicchè ogni azione di rivolta contro di esso è destinata a fallire. Il film oscilla fra una detective-story, e un horror fantascientifico. Citando di Kafka "Il processo", "Il Castello", i più celebri racconti oltre alla "Lettera al padre", Soderbergh finisce col fare una certa confusione, togliendo al grande Boemo il suo fascino profondo e complesso. Ottimo il gruppo degli attori, capeggiati da Jeremy Irons (Kafka). Dal punto di vista pastorale, il giudizio non è negativo, perché nel film è chiara una precisa condanna del potere spietato e disumanizzante, che viene rappresentato.