HEIMAT 2 – L’ARTE O LA VITA ***

Valutazione
Discutibile, scabrosità, Dibattiti
Tematica
Politica-Società, Storia
Genere
Drammatico
Regia
Edgar Reitz
Durata
133'
Anno di uscita
1993
Nazionalità
Germania
Titolo Originale
DIE ZWEITE HEIMAT - KUNST ODER LEBEN (TREDICESIMO EPISODIO)
Distribuzione
Mikado Film
Soggetto e Sceneggiatura
Edgar Reitz
Musiche
Nikos Mamangakis
Montaggio
Susanne Hartmann

Sogg. e Scenegg.: Edgar Reitz - Fotogr.: (normale/b.n. a colori) Christian Reitz - Mus.: Nikos Mamangakis - Montagg.: Susanne Hartmann - Dur.: 133' - Produz.: Edgar Reitz Productions, Munchen

Interpreti e ruoli

Henry Arnold (Hermann Simon), Salome Kammer (Clarissa Lichtblau), Alexander May (console Handschuh), Thomas Kylau (Zielke), Anke Sevenich (Schnüsschen), Daniel Smith (Juan Ramon Fernandes), Franzi Traub (Renate Leineweber), Abbie Conant, Noemi Stever, Frank Roth, Michael Schonborn, Armin Fuchs, Martin Maria Blau, Edith Behleit

Soggetto

a dieci anni dal suo arrivo a Monaco, Hermann Simon potrebbe sentirsi realizzato: guadagna molto con la Isarfilm, ed il console Handschuh gli vuole bene come a un figlio. Ma è durante l’ennesima Oktoberfest, con il suo chiasso, le risa, le canzoni sguaiate, la cordialità obbligatoria che poi, alla prima scintilla, si trasforma in rissa, che lui capisce di essere, sempre e comunque, un estraneo pellegrino alla ricerca del suo “Graal”, che né l’amore, né la musica sembra potergli procurare. E’ inutile che Zielke gli preponga di metter su uno studio di registrazioni avveneristico, o il console addirittura di diventare suo erede. Hermann sale su un treno e va in cerca di Clarissa Lichtblau e dalla madre di costei apprende che è in tournée col suo gruppo femminile, con lo spettacolo di musica e danza “La passione delle streghe”. Di treno in treno, alla caccia della sfuggente dea della sua vita, incontra prima Renate Leineweber che si esibisce in numeri sempre ai limiti del volgare, per congressi o mediocri spettacoli; vede Juan Ramon Fernandes ridotto a modesto equilibrista in un circo; rivede la moglie Schnüsschen con la piccola Lulù, che ormai lo tratta addirittura con aperta ostilità. Su un manifesto vede anche il volto di Helga Aufschrey tra i ricercati della banda terrorista Baader-Meinhof; apprende dai giornali che Stefan Aufhauser è stato ferito durante un’irruzione in casa della polizia, sulle tracce di Helga e dei suoi compagni di clandestinità. Hermann scrive al console ringraziandolo ma rinunciando alla sua offerta. Trovata finalmente Clarissa ad Amsterdam, assiste affascinato alla rappresentazione, dove si rende conto che la donna sembra appagata ora dalla sua voce e dal teatro e dall’amicizia delle altre donne. Una lunga notte assieme in un hotel consente ai due di confidarsi e di aprirsi ulteriormente, per riconoscere che in definitiva tra loro è solo possibile un sentimento che, pur fortissimo ed inalienabile, non può essere radicato nel vissuto. Al mattino Clarissa sparisce lasciando un biglietto: “Aspettami”. Hermann lo fa per un po’, poi riprende il treno, e giunge alla terra natale, dove un vecchio, una sorta di “genius loci”, gli dà il benvenuto.

Valutazione Pastorale

finisce così il viaggio decennale, che, tramite il personale itinerario di Hermann, Edgar Reitz compie "attraverso" una generazione di giovani. Giovani di diversa cultura e provenienza, ma tutti mossi da quel desiderio di affermarsi, di emergere da un bozzolo fatto di tradizioni patriarcali spesso sentite come un legame soffocante. Hermann sembra riflettere in particolar modo le esperienze personali del regista. Il voler insistere sui protagonisti massimi della vicenda, Hermann e Clarissa, nudi sul pavimento della camera d'albergo, sembra voler significare come solo lo spogliarsi di tutte le sovrastrutture, indotte o assimilate volontariamente durante le varie esperienze, può regalarci momenti di autenticità, o comunque metterci di fronte a noi stessi in modo tale da ridurre, se non vanificare, le possibilità di autoingannarci, come fanno Helga con la sua smania di giustizia o amore totale, Renate coi suoi sogni di attrice. E che dire di Schnüsschen, così dolce ed affettuosa, che l'onda sessantottina porta via e trasforma in un'altra persona, una grigia figuretta condannata all'infelice ruolo della madre separata, con alle spalle un passato di moglie e di universitaria sessantottina fallita? E che dire di Juan, prigioniero delle sue stesse qualità e che forse la presunzione di aver ormai vissuto e capito tutto, dopo aver tentato il suicidio, conduce una vita da misero clown? Quadri amari e dolenti di una generazione inquieta, figlia di un'esperienza sconvolgente e pesante come il nazismo, nella cui culla storica ha deciso di trasferirsi per costruirsi un destino diverso, ma fallisce nel suo scopo perché sfornita di quel bagaglio ideale per viaggiare lungo i sentieri della vita che è costituito dai valori. Né famiglia, né amore, né patria, né arte: nulla sembra resistere ad un vento maligno, fatto di miasmi del passato e di roventi folate che erode ed abbatte tutti i piccoli edifici che i protagonisti creano volta per volta, sostituendo visi con altri visi, corpi con altri corpi, oggetti e situazioni con nuove esperienze che si rivelano, alla fine, fallimentari. Il personaggio chiave è lui, il giovane musicista dai capelli corvini, il viso mobilissimo e gli occhi incerti tra il sorriso e la commozione. E' la sua sensibilità che il regista finisce per fare nostra, è il suo fallimento dei suoi sogni che condividiamo con lui dolorosamente, ed è nostra la sua speranza, pudicamente accennata nell'ultima sequenza, che nelle nostre radici e nella capacità di aspettare è forse il segreto di una maggiore serenità esistenziale.

Le altre valutazioni

Sfoglia l'archivo
Ricerca Film - SerieTv
Ricerca Film - SerieTV