IN AMERICA – Il sogno che non c’era

Valutazione
Raccomandabile, problematico
Tematica
Bambini, Emigrazione, Famiglia, Matrimonio - coppia, Povertà-Emarginazione, Rapporto tra culture
Genere
Drammatico
Regia
Jim Sheridan
Durata
110'
Anno di uscita
2004
Nazionalità
Gran Bretagna, Irlanda
Titolo Originale
In America
Distribuzione
20th Century Fox Italia
Musiche
Gavin Friday, Maurice Seezer
Montaggio
Naomi Geraghty

Orig.: Gran Bretagna/Irlanda (2002) - Sogg. e scenegg.: Jim Sheridan, Naomi e Kirsten Sheridan - Fotogr.(Panoramica/a colori): Declan Quinn - Mus.: Gavin Friday, Maurice Seezer - Montagg.: Naomi Geraghty - Dur.: 110' - Produz.: Hell's Kitchen.

Interpreti e ruoli

Paddy Considine (Johnny), Samantha Morton (Sarah), Sarah Bolger (Ariel), Emma Bolger (Christie), Djimon Hounsou (Mateo)

Soggetto

Una famiglia irlandese, composta dal padre Johnny dalla madre Sarah e dalle due figliolette Ariel e Chistie, entra negli Stati Uniti dal Canada dichiarando motivi turistici. In realtà la famiglia arriva a New York decisa a restarvi. Trovato un appartamento nella zona povera e multietnica di Manhattan, comincia la dura vita quotidiana. Tutto è condizionato dal ricordo ossessivo del fratellino morto in seguito a tumore. Johnny vorrebbe fare l'attore ma i provini non ottengono successo. Sarah trova un lavoro ma i soldi sono sempre pochi. Dopo qualche tempo, Sarah resta incinta e, quando arriva il momento, in ospedale, dopo una crisi, nasce un bambino che però ha bisogno di una trasfusione. Christie dona il proprio sangue. Finalmente tutti insieme tornano a casa. Qui, durante la notte, Christie esorta il padre a dire finalmente addio al ricordo di Frankie, il fratellino morto. Adesso tutto può ricominciare con una nuova vita.

Valutazione Pastorale

Molti fatti autentici sono alla base del copione. Jim Sheridan è irlandese (affermatosi con "Il mio piede sinistro", "Nel nome del padre", "The boxer"), a sua volta alla fine degli anni '70 emigrò clandestinamente negli USA con moglie e due figlie, e proprie queste due, oggi cresciute, hanno raccolto la sfida di scrivere questa storia per il grande schermo. Sheridan aggiunge di aver voluto dirigerla come un racconto morale, "...raccontare l'America con le sue malattie, l'isolamento che crea negli individui, i sogni svenduti e non". Certo la vicenda è ad alto tasso di facile e dilagante commozione: alcuni passaggi (la sequenza al Luna Park; la crisi in ospedale) appaiono non ben controllati e una maggiore asciuttezza avrebbe giovato. Resta però tutto il resto: in una cornice speso intimista, la storia di una famiglia che non si arrende alle difficoltà e anzi le supera restando unita coinvolge e convince. L'amore per l'infanzia che apre i cuori, l'attenzione all'importanza della vita, la memoria come arricchimento, la voglia di restare attaccati ad una luce sul mondo che non si spegne, anche se la disperazione indurrebbe al contrario. I figli piccoli interrogano gli adulti in un interscambio che, se può avere accenti un po' insistiti e ripetitivi, delinea comunque un modello di famiglia rivolto a costruire, mai a rinunciare. Contenuti pregnanti dunque e film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come raccomandabile, e problematico. UTILIZZAZIONE: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e da recuperare in molte occasioni per i temi attuali e importanti che tocca.

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