Presentata alla 17a Festa del Cinema di Roma (2022)
Interpreti e ruoli
Francesco Di Leva (Bernard), Alessandro Preziosi (Tarrou), Cristina Donadio (Cottard), Francesco Mandelli (Se stesso), Antonino Iuorio (Grand), Andrea Renzi
Soggetto
Napoli oggi, sono in corso le riprese di un film e la troupe si muove scrupolosa con le mascherine perché nel Paese vige il lockdown. Il copione che viene messo in scena racconta l’impegno in prima linea del dottore Bernard, che riscontra sempre più malati a causa di un virus insidioso e aggressivo...
Valutazione Pastorale
L’allargare il campo dello sguardo, il mostrare il mondo del set in azione, è la scelta che compie anche il regista-sceneggiatore partenopeo Francesco Patierno, classe 1964, nel suo ultimo film “La cura”. Un inglobare nel racconto le leve della finzione, chi sta dietro alla macchina da presa. Non serve scomodare il già citato Fellini, come pure François Truffaut (“Effetto notte”, 1973) o Billy Wilder (“Viale del tramonto”, 1950), basta richiamare una certa tendenza del cinema e della serialità contemporanea a sconfinare tra scena-retroscena come nella miniserie Hbo “Scene da un matrimonio” (2021) di Hagai Levi.
Veniamo però a “La cura”. Patierno, che è un regista raffinato e acuto, costruisce un racconto stratificato che unisce la pagina di Albert Camus, il soggetto de “La peste” del 1947, con la stringente attualità della pandemia da Covid-19. Al centro temi ed emozioni sperimentati nel nostro quotidiano: “La paura – indica Patierno –, il sentimento di separazione, il contrasto tra la scienza e la fede, e soprattutto la solidarietà e l’empatia tra le persone, come unico rimedio alla malattia”.
La storia. Napoli oggi, sono in corso le riprese di un film e la troupe si muove scrupolosa con le mascherine perché nel Paese vige il lockdown. Il copione che viene messo in scena racconta l’impegno in prima linea del dottore Bernard (Francesco Di Leva), che riscontra sempre più malati a causa di un virus insidioso e aggressivo.
Scritto da Patierno, Francesco Di Leva e Andrej Longo, “La cura” è un film che conquista soprattutto per l’eleganza visiva, per la consueta raffinatezza con cui il regista compone l’immagine e governa la camera. Il suo cinema – “Pater familias” (2002), “Cose dell’altro mondo” (2011) e “Napoli ’44” (2016) – coniuga temi sociali, anche di complessa intensità, con un estetismo colto e poetico. Anche qui, ne “La cura”, la dimensione visiva sembra dominare, anzi predominare su quella narrativa.
L’impianto del racconto è senza dubbio acuto e interessante, quell’accostamento tra l’opera letteraria di Camus e la spiazzante pandemia dei nostri giorni, prendendo per di più come punto di osservazione attori e maestranze di un set. Oltre alla regia convincente, a funzionare è il lavoro degli interpreti, dai protagonisti Francesco Di Leva (sempre più bravo!) e Alessandro Preziosi, agli attori che sagomano ruoli “minori” ma di grande intensità: Antonino Iuorio, Peppe Lanzetta, Andrea Renzi, Francesco Mandelli e Cristina Donadio. L’opera volteggia dunque elegante tra piazze, vie e rioni della Napoli di oggi, una Napoli bella, bellissima, ma svuotata, quella nei primi giorni burrascosi della pandemia. Concettualmente il film emana una certa potenza e poesia, ma narrativamente la dimensione del sentimento, dell’empatia con le fragilità umane, fatica ad attecchire. Questo perché lo svelamento tra finzione e set entra in scena sin dal principio, smorzandone pertanto pathos e carica emotiva. Detto questo, la firma di Patierno è una garanzia per un’opera di qualità, mai superficiale. “La cura” è consigliabile, problematico, per dibattiti.
Utilizzazione
Indicato per la programmazione ordinaria e per successive occasioni di dibattito.