SANGUE DEL MIO SANGUE

Valutazione
Complesso, Problematico, dibattiti
Tematica
Donna, Metafore del nostro tempo, Potere, Storia
Genere
Drammatico
Regia
Marco Bellocchio
Durata
100'
Anno di uscita
2015
Nazionalità
Francia, Italia, Svizzera
Titolo Originale
/////
Distribuzione
01 Distribution
Musiche
Carlo Crivelli
Montaggio
Francesca Calvelli, Claudio Misantoni

Orig.: Italia/Francia/Svizzera (2015) - Sogg. e scenegg.: Marco Bellocchio - Fotogr.(Panoramica/a colori): Daniele Ciprì - Mus.: Carlo Crivelli - Montagg.: Francesca Calvelli, Claudio Misantoni - Dur.: 100' - Produz.: Simone Gattoni per Kavac Film e Beppe Caschetto per IBC Movie in coproduzione con Fabio Conversi per Barbary Films, Tiziana Soudani per Amka Films, Gabriella De Gara per RSI per Radiotelevisione Svizzera - 72^MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA 2015, IN CONCORSO.

Interpreti e ruoli

Roberto Herlitzka (Conte), Pier Giorgio Bellocchio. (Federico), Lidiya Liberman (Benedetta), Fausto Rossi Alesi (Cacciapuoti), Alba Rohrwacher (Maria Perletti), Federica Fracassi (Marta Perletti), Alberto Cracco (inquisitore francescano), Bruno Cariello (Angelo), Toni Bertorelli (dott. Cavanna), Filippo Timi . (il pazzo), Elena Bellocchio (Elena), Ivan Franek (Rikalkov), Patrizia Bettini (moglie del Conte), Sebastiano Filocamo (padre confessore), Alberto Bellocchio (Cardinal Federico Mai)

Soggetto

Sollecitato dalla madre, Federico, giovane uomo d'arme, si reca nel convento-prigione di Bobbio. Il suo compito è riabilitare la memoria del fratello gemello Fabrizio indotto a tradire la propria missione sacerdotale dall'opera seduttiva di suor Benedetta. Anche Federico però cade nella sua rete e la suora viene condannata alla prigione perpetua e murata viva. Con uno stacco si arriva ai giorni nostri, quando allo stesso portone bussa Federico Mai, che si spaccia per ispettore della Regione e accompagna un milionario russo intenzionato ad acquistare quel convento in disuso. All'interno in realtà abita ancora un anziano conte, che vive isolato e esce in città solo la notte. L'incontro tra Federico e il conte rovescia la situazione...

Valutazione Pastorale

La spiegazione è utile: ormai da alcuni anni dedicatosi alla sua scuola cinema, in svolgimento ogni anno durante l'estate nella campagna piacentina, Bellocchio chiarisce di aver scoperto quasi per caso quella costruzione diroccata e abbandonata, (una prigione/convento) e di aver recepito la suggestione di costruirvi intorno alcune vicende legate a precisi momenti storici e sociali. E' probabile che, al momento di concretizzare questo stimolo narrativo, le idee di Bellocchio non si siano sviluppate nel modo più opportuno. Sembra che l'eredità de "I pugni in tasca" (1965) sia difficile da smaltire. Un po' di quel plot ormai epocale appare anche qui, e vicino corre qualche ricordo di "Vacanze in Val Trebbia", una lontana docufiction vista proprio a Venezia nel 1980. Il risultato è un doppio mini film che prova a muoversi su temi già battuti e arricchirsi però con un doppio sguardo. Quello sul passato è (o prova ad essere) ancora una volta un dito puntato sugli eccessi e le faziosità dell'istituzione ecclesiastica. La persecuzione dell'elemento femminile bieca e crudele è destinata però a volgersi in vittoria perché nella seconda parte la donna esce dalla prigione ancora giovane e intatta nel fisico. Nella Bobbio di oggi invece si muovono uomini come fantasmi, esseri semi umani che faticano a percepire contorni e a esprimere fisicità. La solitudine del Terzo Millennio incombe su salti generazionali che denunciano imbarazzi, affanni, incertezze. Ecco allora il Conte, ecco allora il Pazzo, ecco allora il dentista Cavanna, prototipi di una messa a nudo della mente e del cuore, testimoni di età antiche confortate solo dall'esibizione del coro alpino. La distanza tra i due 'episodi' resta ampia e non sempre motivata. Sembra quasi che il secondo, più profondo e attaccato alla realtà, sia più compiuto del primo, troppo legato ad un anticlericalismo forse meno velenoso del passato ma comunque non privo di frecce acuminate e pungenti contro il monolitico potere ecclesiastico. Eppure Bellocchio continua ad essere cronista del non reale, lontano dal vero, più orientato verso un verosimile lungamente circuito e sedotto. Nel cinema di famiglia (fratelli, figli, nipoti...) il piacentino si muove con dinamicità. Senza accorgersi tuttavia di muoversi lungo, la china dell'attaccamento proprio di quella istituzione che 50 anni fa aveva contribuito a delegittimare. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come complesso, problematico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni, anche di cineforum, per avviare riflessioni sul composito narrare di Bellocchio, autore ormai 76enne e testimone di lunghe stagioni del cinema italiano, dall'impegno, all'ideologia, dalla metafora psicologica al metacinema tra musica, storia, ragione e follia.

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