SQUOLA DI BABELE

Valutazione
Consigliabile, Realistico, dibattiti
Tematica
Adolescenza, Amicizia, Famiglia, Politica-Società, Rapporto tra culture
Genere
Documentario
Regia
Julie Bertuccelli
Durata
89'
Anno di uscita
2015
Nazionalità
Francia
Distribuzione
Kitchen Film
Musiche
Olivier Daviaud
Montaggio
Josiane Zardoya

Orig.: Francia (2014) - Sogg. e scenegg.: Julie Bertuccelli - Fotogr.(Panoramica/a colori): Julie Bertuccelli - Mus.: Olivier Daviaud - Montagg.: Josiane Zardoya - Dur.: 89' - Produz.: Les Films du Poisson, Sampek Production.

Interpreti e ruoli

Da Abir Gares a Youssef Ezzangaoui (Tunisia), un gruppo di 24 bambini provenienti da ogni parte del mondo nel ruolo di se stessi. Allo stesso modo (Egitto), Brigitte Cervoni, professoressa di francese della classe di accoglienza.

Soggetto

A Parigi, nel decimo distretto, c'è la Scuola di La Grange aux Bellescon la classe di accoglienza. Qui l'insegnante Brigitte Cervoni fa di tutto per trasmettere l'uso parlato del francese a 24 studenti, piccoli e più grandi, provenienti da 24 diverse nazionalità. In un ampio microcosmo, alcuni riescono già ad esprimersi in modo soddisfacente, per altri la lingua è il primo passo verso l'integrazione.

Valutazione Pastorale

Iniziata la carriera di regista nel 1993 come assistente, tra gli altri, di Iosseliani, Kieslowski, Tavernier, Julie Bertuccelli realizza una decina di documentari, tra i quali si ricorda benvenuti ai Grandi Magazzini" sulla vita quotidiana alle Galeries Lafayette. Primo film nel 2003, "Da quando Otar è partito", poi nel 2019 "L'arbre" girato in Australia in inglese con Charlotte Gainsbourg protagonista. Qui e oggi, ora, il ritorno alla realtà, alla vita vera, ad un presente che nella Francia del Terzo Millennio significa soprattutto l'inevitabile convivenza di culture diverse, l'esigenza a livello didattico di trovare e trasmettere una formula soddisfacente per insegnare gli elementi basilari del francese come luogo di accoglienza senza trascurare troppo quelli del luogo di provenienza. "Ho avuto una gran voglia -dice la regista- di scoprire cosa succedeva in una classe d'accoglienza. La classe di Brigitte era perfetta: con tanti paesi diversi rappresentati e caratteri e talenti così diversi e significativi (...) Mostro forse un luogo protetto e ideale, un'utopia in azione ma mostro anche un piccolo microcosmo dove l'energia della speranza può fare dei miracoli, così come la fiducia e l'accoglienza riservata a questi ragazzi". Trovata la prima inquadratura, la regista procede lungo una scrittura di estrema semplicità, alternando gli interni della classe con gli esterni dell'edificio. Ne deriva una sorta di diario a misura di adolescente, confessioni ora indecise ora perplesse, improntate ora alla gioia ora alla preoccupazione. Il pensiero corre ai rispettivi paesi lontani e a ferite forse non guaribili se non nell'ottica di un pensiero sul futuro difficile da immaginare. Si pensa a come saranno da grandi, alle strade che prenderanno e qualche brivido arriva. Anche se vivere a Parigi è già in parte una fortuna non da poco. Lo sguardo della regista vuole proporsi come sostegno e aiuto. Il giusto ruolo del documentario per un film che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, realistico e adatto per dibattiti.

Utilizzazione

Il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria e in successive occasioni per avviare riflessioni quanto mai attuali sui molti argomenti che mette in campo.

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