“Freaks Out” commedia nera tra i sentieri della Storia e il fantasy

mercoledì 3 Novembre 2021
Un articolo di: Sergio Perugini

Con “Lo chiamavano Jeeg Robot” del 2015 il regista romano Gabriele Mainetti, classe 1976, ha messo tutti d’accordo, facendo incetta di premi tra cui 7 David di Donatello e di presenze al botteghino. A distanza di poco più di cinque anni torna con la sua opera seconda, quella che per un regista è la prova della maturità, dove in ballo c’è la conferma delle attese. E il suo nuovo film “Freaks Out” è finito direttamente in concorso alla 78a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia, in compagnia di autori italiani di peso come Paolo Sorrentino e Mario Martone.

Un circo nella Roma in guerra
Nella Roma del 1943, dove c’è una presenza opprimente delle forze nazi-fasciste e sono in atto le deportazioni di ebrei verso i campi di concentramento, un gruppo di strambi circensi cerca un’occasione per fuggire in America. Il capocomico è Israel (Giorgio Tirabassi), un illusionista dal cuore gentile. Accanto a lui quattro artisti che si esibiscono in performance fuori dal comune: Matilde (Aurora Giovinazzo) imprime elettricità su qualsiasi oggetto; Cencio (Pietro Castellitto) è capace di controllare e manovrare ogni insetto; Fulvio (Claudio Santamaria) è un uomo particolarmente forzuto nonché coperto da folta pelliccia; e Mario (Giancarlo Martini) attrae il metallo come una calamita. Questo bislacco gruppo di incantatori viene preso di mira dal folle Franz (Franz Rogowski), un gerarca nazista in cerca di uomini straordinari…

Tra “Jojo Rabbit” e gli “X-Men”
Un remix di generi cinematografici e titoli cult insieme a una visione personale molto grintosa e vigorosa. “Freaks Out” da un lato rielabora la storia della Roma occupata dai nazisti e il dramma della Shoah con i codici della commedia irriverente dalle sfumature drammatico-educative, sul cui binario si trovano precedenti importanti come “La vita è bella” (1997), “Train de vie” (1998) o il più recente “Jojo Rabbit” (2020); dall’altro c’è l’audacia di portare il fantastico, il mito di eroi dai superpoteri alla X-Men, nelle pieghe di avvenimenti storici dagli echi densi di sofferenza. Se a questo si aggiunge un continuo richiamo a citazioni artistiche di matrice diffusa (il gerarca Franz che nel 1943 suona al pianoforte il brano “Creep” dei Radiohead), il risultato è un caotico ma avvincente caleidoscopio di suggestioni ed emozioni. Rimarcando la bravura degli interpreti tutti, a partire dai “Freaks” Claudio Santamaria, Pietro Castellitto, Giancarlo Martini e Aurora Giovinazzo, non si può non esprimere apprezzamento per l’audacia ideativa e produttiva messa in campo da Mainetti, che vuole cavalcare l’onda di un nuovo cinema italiano non accomodante né limitato nel dispiegamento dei mezzi, degli effetti speciali. Un cinema che ricerca e forse conquista un pubblico di giovanissimi, giovani e non solo, unendo la cultura (ultra)pop a una tradizione cinematografica consolidata. Il risultato è un prodotto godibile, frizzante, con qualche riserva. Va fatto notare, infatti, che la seduzione generata degli effetti speciali genera un sovraccarico di immagini che toglie respiro e fluidità al racconto. Si legge nel regista Mainetti un desiderio di mostrare capacità, cultura audiovisiva e nel complesso freschezza espressiva; in più si avverte sempre la responsabilità dell’opera seconda dopo un grande successo d’esordio. Il risultato è di certo apprezzabile, ma non privo di sbavature o eccessi. Il punto debole di “Freaks Out” è a ben vedere è proprio nell’eccesso: l’opera è bella ma non poco sovraccarica, e questo affossa la sua capacità di restare nella mente dello spettatore, protesto più a memorizzarne l’artificio che il senso. Dal punto di vista pastorale “Freaks Out” è consigliabile, problematico e per dibattiti.

Freaks Out

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