Il “Pinocchio” di Matteo Garrone, tra Comencini e Burton, è un romanzo di formazione “Pinocchio” marcato da dolcezza, poesia e magia

giovedì 19 Dicembre 2019
Un articolo di: Cnvf

Il “Pinocchio” di Matteo Garrone è un racconto magico-fiabesco a partire dal classico della letteratura uscito dalla penna di Carlo Collodi nel 1883. Garrone è riuscito a raccordare lo sguardo dello sceneggiato Rai firmato nel 1972 da Luigi Comencini con l’immaginario visivo ricco di chiaroscuri alla Tim Burton (suo è “Big Fish” del 2003). Nel far ciò, Garrone ha abbandonato il suo consueto stile duro e asciutto, segnato da realismo cupo – tra i suoi titoli più noti “L’imbalsamatore” (2002), “Gomorra” (2008), “Il racconto dei racconti” (2015) e “Dogman” (2018) – per abbracciare i toni e i colori della favola, del romanzo di formazione, a misura di bambino. Il suo “Pinocchio” è, infatti, marcato da dolcezza, poesia e magia. È il racconto metaforico della vita, del diventare piccoli grandi uomini, schivando le insidie quotidiane e mettendo al centro gli affetti. La regia e la confezione formale risultano molto suggestive e convincenti; grande merito è anche del trucco Mark Coulier, due volte premio Oscar, che si è imposto all’attenzione internazionale con i film di “Harry Potter”, “The Iron Lady” e “The Grand Budapest Hotel”. Ancora un parola poi per la musica composta dal premio Oscar Dario Marianelli, che coniuga leggerezza, brio a toni più ombrosi, con un risultato finale comunque tenero e avvolgente. Menzione speciale per il cast, tutto di alto livello, da Roberto Benigni a Gigi Proietti, da Marine Vacth a Massimo Ceccherini (co-sceneggiatore con Garrone) e Rocco Papaleo, senza dimenticare Massimiliano Gallo. In particolare, Garrone ci riconsegna il Benigni attore a vent’anni esatti dall’Oscar per “La vita è bella”. Benigni torna al cinema nel ruolo di un papà, Geppetto, che ritrova smalto nella sua esistenza grigia e misera grazie all’amore di un figlio, seppure di legno. Nel tratteggiare Geppetto, l’interprete toscano sembra richiamare il brio e la tenerezza di un altro padre, Guido, l’indimenticato protagonista di quel suo film sulla Shoah. Con “Pinocchio” Matteo Garrone si conferma pertanto un autore con la maiuscola, dotato di uno stile solido e ben definito, capace di muoversi con disinvoltura tra le vette del cinema europeo e mondiale. Dal punto di vista pastorale il film è da valutare come consigliabile e poetico, adatto per dibattiti.


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Pinocchio

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