La 76ª Mostra di Venezia ai blocchi di partenza. Mons. Dario E. Viganò: “Il cinema di domani? Tempo di creatività e non di paure”

Cinema e audiovisivo vivono una stagione di profondo cambiamento, tra nuovi modelli produttivi e fruitivi. Nella cornice della 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (28 agosto - 7 settembre), il Sir ha intervistato mons. Dario E. Viganò, decano di cinema e autore del libro “Manuale FilmMaker” per capire meglio l’evoluzione del settore.

martedì 27 Agosto 2019
Un articolo di: Sergio Perugini

Sagace è il modo in cui Woody Allen definisce il settore cinematografico: “Lo show business è anche business. Altrimenti si chiamerebbe show show”. Con queste parole si apre il nuovo libro di mons. Dario Edoardo Viganò, “Manuale del FilmMaker. Scrivere, produrre, distribuire” (Morcelliana 2019). Mons. Viganò è Assessore presso il Dicastero della Comunicazione della Santa Sede nonché decano universitario nell’ambito degli studi di cinema e di comunicazione, con una grande esperienza anche nel settore dell’industria dell’audiovisivo. Ha seguito la produzione di oltre 50 documentari con il Centro Televisivo Vaticano, è tra gli ideatori con il regista Wim Wenders del film “Papa Francesco. Un uomo di parola” e ha ricoperto incarichi presso le commissioni cinema del MiBAC, il Centro sperimentale di cinematografia e per oltre 10 anni ha guidato la Fondazione Ente dello spettacolo. Nella cornice della 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (28 agosto – 7 settembre), il Sir ha intervistato mons. Viganò per capire meglio l’evoluzione del settore.

Il Festival di Venezia è ai blocchi di partenza. Film in prima mondiale, ma anche serie tv. Come sta cambiando il mercato?
Il mercato del cinema e del comparto audiovisivo tutto è senza dubbio vivo, forte, in grande fermento. La Mostra del Cinema di Venezia (come del resto i Festival di Cannes, Berlino o Toronto) rappresenta un termometro importante per il settore: registra la presenza creativa di grandi autori ma anche di giovani emergenti, nuove dinamiche a livello produttivo o fruitivo. La domanda di film, documentari, serie tv – queste ultime sempre più dominanti, al punto da aver guadagnato un posto al sole anche nei festival – è di fatto crescente.

Quello che cambia è il modo in cui il pubblico fruisce del prodotto audiovisivo.
La sala, luogo di primo sfruttamento, non è più protagonista in solitaria, ma accanto a essa si fanno largo soggetti con passo incalzante: le piattaforme in streaming come Netflix, Prime Video, NowTv, TimVision, Chili Tv o AppleTv, che si pongono in una zona liquida tra theatrical e home video. Tutto poi si gioca in maniera veloce, velocissima; il rapporto tra domanda e offerta è fulmineo, pertanto stare dietro al cambiamento può risultare faticoso o ansiogeno se non si è ben attrezzati.

Quali cambiamenti attivano le nuove pratiche di fruizione in streaming?
Secondo gli istituti di ricerca come il Censis, il cambiamento di fatto è già in atto. Le adesioni alle piattaforme e alle loro differenti modalità (Svod, Tvod, Avod e Pvod) sono crescenti, soprattutto tra i giovani. Questo non significa però che il cinema è alla fine; il nuovo scenario non solo stimola la creatività, l’ingegno e squaderna possibilità, ma il moltiplicarsi di canali aumenta il bisogno di contenuto. Bisogna guardare all’orizzonte con fiducia, con spinta positiva, soprattutto se si è giovani, altrimenti tutto ciò che è nuovo assume la conformazione della minaccia.
Viviamo, a mio parere, un tempo straordinario, con una grande opportunità socio-culturale oltre che produttiva: possiamo scegliere l’esperienza di una visione immersiva in sala, al buio, oppure vedere tutto d’un fiato (“binge-watching”) una stagione completa della serie che più ci appassiona,
magari durante un lungo viaggio in treno o aereo. E poi che meraviglia la possibilità di poter scegliere la lingua della visione con un semplice click. Ovviamente, il settore per abitare il cambiamento nella maniera giusta ha bisogno di regole chiare, fornite dalle istituzioni competenti e dal mercato, ma anche di professionisti preparati e versatili.

Il suo ultimo libro, “Manuale di FilmMaker”, si indirizza ai giovani professionisti dell’audiovisivo tra università o master. Come è nata l’idea?

Tutto nasce dal mio percorso come docente universitario, ormai da più di vent’anni; a dire il vero, soprattutto negli ultimi anni, insegnando al master della Business School della Luiss, dove accanto alle lezioni frontali ho organizzato numerosi incontri con professionisti del cinema e della Tv. Molti giovani, inoltre, mi chiedono spesso indicazioni pratiche e percorsi utili per inserirsi nel mondo del lavoro dopo il ciclo formativo. Così ho messo insieme un testo capace di coniugare fondamenti teorici e prassi lavorativa, con l’aggiunta di alcuni “case study” produttivi cui ho partecipato nei lavori con Vatican Media, Officina della Comunicazione, Rai, Sky, Discovery e Gruppo Gedi.

C’è dunque oggi un concreto spazio di inserimento per i giovani? E quale background formativo è richiesto?
La domanda c’è: il mercato, ma anche la nostra industria culturale hanno bisogno di professionisti dell’audiovisivo, di bravi sceneggiatori, registi e produttori. Ripeto, devono però essere bravi, solidi nella preparazione, con una mente aperta verso l’estero e desiderosi di imparare percorrendo la scala professionale dal basso, mettendosi anzitutto in ascolto.
Non c’è più spazio per l’improvvisazione. Un professionista emergente deve saper padroneggiare tutti gli aspetti, da quelli creativi a quelli produttivi, legali o finanziari;
deve sapere che per costruire un budget può far ricorso a finanziamenti che provengono dallo Stato, dalle Film commission, dagli investitori privati oppure dalla Comunità europea. E per fare ciò bisogna presentare bene i progetti, depositare correttamente le domande di finanziamento oppure convincere potenziali (co)produttori con dei “pitch” (brevi presentazioni) efficaci.

Con il team di Vatican Media ha seguito la produzione di circa 50 film e documentari. Quali novità ci può anticipare?
Nel cantiere produttivo del Dicastero per la Comunicazione, con la divisione audiovisiva di Vatican Media, figurano molte novità all’orizzonte. Insieme all’ormai consolidato partner Officina della Comunicazione siamo tornati a lavorare con il Gruppo Discovery per un racconto sullo Stato del Vaticano, dopo il buon risultato in Italia e all’estero della serie doc “I grandi Papi”. Tra le altre collaborazioni, accanto a quelle Rai e Sky, c’è anche un progetto con Mediaset. Ancora, guardiamo con interesse agli sviluppi delle produzioni di piattaforme in streaming. Ma di questo è presto per parlarne.

Articolo originale pubblicato su Agenzia SIR


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