Mettersi in gioco con la vita

venerdì 24 Luglio 2020
Un articolo di: Sergio Perugini

“Wonder” di Stephen Chbosky quarto film sul tema della disabilità promosso da Cnvf e Servizio per la pastorale persone con disabilità CEI

Una bella favola sociale dal valore educativo. Così possiamo definire il film hollywoodiano “Wonder” (2017) di Stephen Chbosky, opera tratta dall’omonimo best seller per ragazzi dell’autrice R.J. Palacio. Il racconto della disabilità fisica di un bambino, sfigurato in volto e costretto a convivere con tale condizione, bambino che prova comunque ad affacciarsi alla vita per cogliere le sue meraviglie, a cominciare dall’esperienza formativa della scuola e il guadagno delle amicizie. Un racconto che esplora al tempo stesso le paure e le sfide dei genitori, chiamati sì al compito di proteggere ed educare ma anche a saper accompagnare i propri figli verso il traguardo dell’autonomia. “Wonder” è il quarto titolo del ciclo cinema e disabilità proposto dalla Commissione nazionale valutazione film – Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali insieme al Servizio Nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Conferenza Episcopale Italiana.

Il coraggio di Auggie
Stati Uniti, oggi. August (Jacob Tremblay), detto Auggie, è un bambino di 11 anni che esce poco. Segue come privatista le lezioni da casa, aiutato dalla madre Isabel (Julia Roberts). La scelta dell’“homeschooling”, della scuola a domicilio, è legata al fatto che Auggie è sfigurato sul volto sin dalla nascita a seguito di una malattia; una problema che lo ha portato a subire 27 operazioni. Nonostante ciò abbia reso difficile e isolata la sua infanzia, Auggie è un bambino spensierato e pieno di interessi; è circondato inoltre dall’affetto della mamma Isabel, del papà Nate (Owen Wilson) come pure della sorella maggiore Via (Izabela Vidovic). L’equilibrio familiare inizia a vacillare quando Auggie è chiamato a iscriversi presso un vero istituto scolastico: forte è la paura e lo smarrimento, soprattutto per i possibili pregiudizi da parte dei compagni…

Il cammino che conduce all’indipendenza
Si è rivelato un vero e proprio fenomeno editoriale. Il romanzo “Wonder”, firmato nel 2013 dall’esordiente R.J. Palacio, vero nome Raquel Jaramillo, ha conquistato numerosi preadolescenti ma anche ragazzi più grandi. E appena pochi anni dopo, nel 2017, è diventato anche un film hollywoodiano con Julia Roberts e Owen Wilson per la regia di Stephen Chbosky, autore anche della sceneggiatura insieme a Steve Conrad e Jack Thorne (tra i suoi lavori ci sono la miniserie HBO “His Dark Materials” del 2020 dai racconti di Philip Pullman e il testo teatrale “Harry Potter e la maledizione dell’erede” con J.K. Rowling).
Come mai è piaciuta così tanto questa commedia educational a sfondo familiare? Perché racconta il bisogno di essere accettati e amati, l’importanza della famiglia, degli amici e il ruolo primario della scuola nel ciclo formativo. Di più, alla base del romanzo e del film c’è il cammino di (re)inserimento nella vita di un bambino con disabilità fisica e dei propri genitori, che per paura di sofferenze o di sentirsi rifiutati hanno preferito isolarsi nello spazio domestico come nido protettivo, chiudendo tutto il mondo fuori. Un isolamento che inevitabilmente è destinato a non durare…
Anzitutto Auggie: è un preadolescente dotato di grande intelletto e intuito, appassionato di scienza, di Spazio come pure di film ambientati nel cosmo a partire dalla saga “Star Wars” di George Lucas. Auggie gira con un casco di una tuta spaziale della Nasa, che lo fa sentire come un vero esploratore, ma al tempo stesso è utile per rendersi invisibile, per velare quel volto così diverso dai suoi compagni. Auggie dentro quel casco si sente al sicuro, ma anche molto solo: non ha infatti amici, non ha persone con cui condividere i suoi risultati, le sue scoperte oppure i suoi innocenti scherzi; nessuno c’è per lui al di fuori dei genitori Isabel e Nate, come pure della sorella Via. Seppure felice in casa, Auggie capisce che deve fare il grande passo: il suo “allunaggio” è la scuola, quella vera, fatta di aule, banchi, professori e compagni; un viaggio che lo spaventa e lo elettrizza in egual misura.
Altra prospettiva nel racconto, che avvicina il campo dello sguardo dei ragazzi a quello degli adulti, sono i genitori di Auggie, Isabel e Nate – bravissimi Julia Roberts e Owen Wilson nel tratteggiare questi due personaggi, imprimendo loro tenerezza e ironia –, i quali hanno fatto di tutto per il proprio figlio, imparando a convivere con la sua disabilità senza che questa risultasse ingombrante né per il bambino né per la sorella Via. Isabel e Nate hanno assicurato loro amore, attenzioni e stimoli.
A colpire è soprattutto la figura della madre Isabel, che per questo figlio ha sacrificato tutta se stessa, mettendo da parte i suoi progetti lavorativi, il titolo di laurea quasi raggiunto oppure le amicizie; Isabel ha deciso di rimanere a casa con Auggie, di occuparsi in prima persona della sua educazione con l’homeschooling. Il problema è che ora il figlio sta crescendo e ha bisogno di altro, in primis di socializzare, di conoscere altri bambini e di frequentare una vera scuola. Auggie ha bisogno di condurre un’esistenza il più possibile uguale a quella dei suoi coetanei e questo sconvolge i genitori, perché si sentono impreparati al cambiamento. Isabel e Nate hanno paura che gli altri bambini deridano Auggie per il suo aspetto; hanno paura che il figlio si senta perso senza di loro così come hanno paura che loro stessi non riescano più a reimpostare la propria esistenza al di là del figlio.
Nel racconto occupa poi un ruolo rilevante anche la sorella Via, sempre premurosa nei confronti di Auggie e mai problematica agli occhi dei genitori, il più delle volte sbilanciati maggiormente sui bisogni del fratello. Nel corso della narrazione Via percorre il sentiero dell’adolescenza, con tutte le sue sfumature, in cerca di se stessa e del proprio spazio nel mondo. Via prova così a ribellarsi a quell’equilibrio familiare troppo polarizzato su Auggie, richiamando i propri genitori a un maggiore ascolto e bisogno d’affetto.
Il film “Wonder” mette pertanto in campo una serie di tematiche legate al mondo della famiglia e della scuola, declinando ogni aspetto problematico lungo il sentiero della commedia gentile, a misura di bambino, sino a confondersi con l’orizzonte della favola. “Wonder” racconta la disabilità, ma lo fa nella prospettiva della speranza, del superamento delle paure, quelle che albergano nel cuore di grandi e piccoli. Il film è un colorato e trascinante viaggio di abbandono alla bellezza della vita, fatto di condivisione e di prossimità; un’opera semplice, che vibra buoni sentimenti, che scorre fluidamente su una collaudata sceneggiature, schivando di tanto in tanto scivolate un po’ melense. A proteggere la compattezza del racconto sono i veterani Julia Roberts e Owen Wilson, sempre incisivi e in parte. Dal punto di vista pastorale “Wonder” è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti.

Il punto del Servizio per la pastorale delle persone con disabilità
“Il film ‘Wonder’ – indica suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio CEI per la pastorale delle persone con disabilità – permette di ricordare un incontro con papa Francesco, avvenuto nel giugno del 2016, insieme a una persona con disabilità. In quella circostanza il Papa ha sottolineato come tutti siamo diversi, nessuno è uguale all’altro. Certo, a volte alcune diversità fanno paura, sono dolorose; ma anche in quel caso tali diversità ci aiutano, ci sfidano, ci arricchiscono. A ben vedere, quindi, il film ‘Wonder’ si pone in linea con quanto affermato da papa Francesco, un’opera che ci ricorda la strada migliore per essere umani. ‘Wonder’ ci mostra l’importanza di essere fratelli, di essere comunità, e che la diversità costituisce sempre una fonte di ricchezza. Il film, nello specifico, declina una doppia sfida: quella del bambino, che deve sostenere e superare i pregiudizi, quella della madre, che deve trovare il coraggio di separarsi dal figlio, di permettergli di compiere il proprio commino. ‘Wonder’ in generale offre uno spazio di racconto per ogni membro familiare, sottolineando la bellezza della diversità, la via che ci rende umani nel senso pieno della parola”.

Wonder

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