Oscar 2017: in difesa dei sogni e dei diritti

martedì 28 Febbraio 2017
Un articolo di: Redazione

La questione razziale agli Oscar, vince “Moonlight”. Clamoroso errore nella proclamazione del miglior film. La cerimonia è segnata anche da proteste contro le restrizioni alla libera circolazione. Niente da fare per Fuocoammare, ma l’Italia vince nella categoria miglior trucco 

Massimo Giraldi, Sergio Perugini | Commissione Nazionale Valutazione Film CEI

 

La cerimonia degli 89. Academy Awards 2017, svoltasi la notte tra domenica 26 e lunedì 27 febbraio in mondovisione dal Dolby Theatre di Los Angeles, ha visto trionfare come miglior film “Moonlight”, dramma afroamericano diretto dal giovane Barry Jenkins (classe 1979), al secondo film, e prodotto da Adele Romanski, Dede Gardner e Jeremy Kleiner. La proclamazione è avvenuta con un clamoroso errore da parte da due decani di Hollywood, Warren Beatty e Faye Dunaway, che hanno assegnato inizialmente la statuetta a “La la Land”, il grande favorito della serata. Quando i produttori di “La la Land” sono saliti sul palco per i ringraziamenti è calato lo scompiglio. Tutti si sono accorti dello scambio di nomi, dunque scuse e imbarazzo generale. L’Oscar più importante, appunto quello per miglior film, è passato di mano a “Moonlight”.

 

Chi ha vinto

“Moonlight” di Barry Jenkins, che partiva da 8 candidature, porta a casa tre statuette pesanti: oltre al miglior film, ottiene anche l’Oscar per l’attore non protagonista Mahershala Ali e la sceneggiatura non originale di Barry Jenkins tratta dal dramma di Tarell Alvin McCraney.

Il numero più elevato di Oscar è andato come da previsioni al musical sognate “La la Land” che partiva forte di 14 nomination ma ha portato a casa solamente 6 riconoscimenti. Gli Oscar vinti: miglior regia a Damien Chazelle, il più giovane regista di sempre a vincere all’età di 32 anni (classe 1985); miglior attrice Emma Stone, gran favorita e già vincitrice del Golden Globe; la fotografia di Linus Sandgren; la scenografia firmata da David Wasco e Sandy Reynolds-Wasco. Si segnalano poi i premi anche per la colonna sonora composta da Justin Hurwitz e la miglior canzone “City of Stars” su musica di Hurwitz con testi di Benj Pasek e Justin Paul.

Altro film vincitore è “Manchester by the Sea”, piccola opera sull’elaborazione del lutto, prodotto da Amazon Studios e anche da Matt Damon, che partiva da ben 6 nomination. Il film ha ottenuto due premi pesanti: Oscar miglior attore per Casey Affleck, premio miglior sceneggiatura originale a Kenneth Lonergan (regista anche del film).

Il ritorno di Mel Gibson alla regia con “La battaglia di Hacksow Ridge” (“Hacksow Ridge”) era stato festeggiato con 6 nomination. Il film ha ottenuto due statuette tecniche, ovvero il miglior montaggio di John Gilbert e il miglior sonoro di K. O’Connell, A. Wright, R. Mackenzie e P. Grace.

Vince anche la Disney che ottiene gli Oscar per il miglior film di animazione “Zootropolis” (“Zootropia”), il corto animato “Piper” (della Pixar, dunque sempre Disney) e il riconoscimento per gli effetti speciali a “Il libro della giungla” (“The Jungle Book”). 

 

A Hollywood va in scena la protesta politica

Durante la cerimonia degli Academy Awards spazio poi alla contestazione verso la Presidenza Trump, in particolare per le restrizioni sull’ingresso ai cittadini dei Paesi finiti sulla “black list” nonché la questione del muro con il Messico. La serata si è aperta con le battute del conduttore Jimmy Kimmel, che si è rivolto a Isabelle Huppert dicendo: “sono contento che tu sia qui, che l’Immigrazione ti abbia fatto passare”. Frequente poi l’ironia verso Meryl Streep, richiamando l’attacco che l’attrice ha ricevuto da parte del neo Presidente (“lei è un’attrice sopravvalutata”), Streep cui però la platea del Dolby Theatre ha tributato una standing ovation. 

Ma è soprattutto con i premi per due film che la questione politica-immigrazione è stata toccata con evidenza. Durante la consegna del premio per il miglior trucco, andato al film “Suicide Squad”, ovvero ad Alessandro Bertolazzi, Giorgio Gregorini e Christophere Nelson. Bertolazzi impugnando il premio ha detto: “ho aspettato 50 anni per questo. Sono italiano, pertanto sono un immigrato, dunque lo dedico a tutti gli immigrati”. 

Alla consegna del premio per il film straniero, all’Iran con “Il cliente” (“The Salesman”), il regista Asghar Farhadi non si è presentato e ha mandato un messaggio in cui ha invitato tutti ad abbandonare le divisioni – “non serve dividere tra noi e loro” –, richiamando il grande ruolo del cinema e della cultura nella società, con il compito di unire.  

Niente da fare per “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, che non ha vinto l’Oscar nella categoria documentario; il premio è andato “OJ: Made in America” sul caso OJ Simpson, firmato da Ezra Edelman e Caroline Waterlow, dalla durata fiume di quasi 8 ore.

 

Il peso della questione razziale

Gli Oscar 2017 sono stati influenzati fortemente dalla questione razziale. Come indicato infatti all’uscita delle nomination lo scorso gennaio, tanti i film con storie di afroamericani, così come numerosi gli interpreti di colore in lizza per le categorie miglior attore/attrice, protagonisti e non (ricordiamo le polemiche del 2016, con Spike Lee, scoppiate proprio per l’assenza di interpreti neri nelle suddette categorie). Oltre ai riconoscimenti per Moonlight – stupisce vedere la statuetta del miglior film assegnato a quest’opera, dove il tema trattato ha probabilmente condizionato pesantemente la valutazione –, è da ricordare soprattutto la meritata vittoria di Viola Davis come miglior attrice non protagonista in “Barriere” (“Fences”), che con un discorso emozionante ha menzionato anche il suo collega nonché regista del film Denzel Washington e l’autore del dramma teatrale August Wilson (il film ne esce abbastanza sconfitto, con 4 nomination). 

 

Gli altri riconoscimenti

Riconoscimenti sono inoltre andati ai costumi di Coleenn Atwood per “Fantastic Beasts and Where to Find Them”, al montaggio sonoro di “Arrival” di Sylvain Bellemare (il film aveva in realtà ben 8 nomination) e al cortometraggio documentario “The White Helmets”, così come al corto live action “Sing”.

 

Amazon e Netflix agli Academy

Due colossi dell’e-commerce, Amazon e Netflix, sono entrati di fatto nell’industria hollywoodiana. Dopo aver prodotto di recente serie e film di successo, i due big dell’online si posizionano in prima fila nelle categorie degli Oscar. Netflix proponeva il documentario “13th” di Ava DuVernay, mentre Amazon Studios trionfa con due premi per “Manchester by the Sea”, uno dei film più rilevanti della stagione. 

 

Bilancio della cerimonia

Al di là dell’imbarazzante episodio conclusivo sullo scambio dei vincitori – un errore forse della società PricewaterhouseCoopers in carico dello spoglio dei voti e della chiusura delle buste –, la cerimonia è scivolata via in maniera piana e prevedibile. Nessuna grande sorpresa e le battute di Jimmy Kimmel non sono state poi così incisive. Hollywood ha provato a rimarcare il suo disappunto contro la politica del nuovo Presidente, senza però scoprirsi con evidenza. Rimane comunque il più grande spettacolo globale, il momento in cui il cinema celebra se stesso e ottiene l’attenzione del mondo.  

 


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