PRIMA COMUNIONE di Alessandro Blasetti : come eravamo nel 1950

lunedì 25 Marzo 2013
Un articolo di: Redazione

Esce nel 1950  “Prima comunione” di Alessandro Blasetti. Forse il titolo italiano più significativo per segnare quella invisibile linea di demarcazione  tra il prima e il dopo nel neorealismo. C’è anche la firma di Cesare Zavattini nel copione che si apre con una voce narrante fuori campo (per noi oggi subito riconoscibilissima, è quella di Alberto Sordi. Ma allora chi poteva accorgersene ?). Voce che non solo racconta ma interviene, parla all’improvviso con personaggi della storia, commenta e dà il via ad una sorta di sliding doors in anticipo: lo stesso fatto visto da due angolazioni. In questa prospettiva è evidente che non si puo più parlare di neorealismo. L’etica rigorosa di “Ladri di biciclette” scompare, inghiottita dalla fiaba (così accadrà anche nell’imminente  “Miracolo a Milano” di Vittorio De Sica). Si parla della realtà ma se ne descrivono i i risvolti favolistici, umoristici, anche problematici ma risolti con un sorriso.  Lo scrittore Zavattini consegna a Blasetti un copione che il regista romano (già 50enne e con una lunga carriera alle spalle) modella sulla scia del suo precedente “Quattro passi tra le nuvole” . Questo, verrebbe da dire, più asciutto e incisivo,, con lo ‘strano incontro’ tra Gino Cervi e Adriana Benetti destinato a sconvolgere convenzioni e abitudini. Anche ora  si cerca di non arrendersi a troppo conformismo. Ma la guerra è ormai finita, ci sono stati un referedum e le elezioni a suffragio unversale. C’è voglia di vivere ‘in pace’ e di essere ‘felici’. Eppure un semplice vestito per la Prima Comunione mette in crisi tutta la famiglia Carloni. Per carità, il commendatore ci tiene perché quel vestito è simbolo di benessere. Apparire conta più che esserci. E’ talmente importante da indurlo a chiedere al sacerdote di ritardare l’arrivo del Vescovo celebrante. E l’occasione è utile per mettere sul tappeti i temi del matrimonio, della famiglia, dell’equilibrio dei sentimenti. E’ probabile che la forte vis comica di Aldo Fabrizi (un ‘divo’ di allora, dopo aver recitato in “Roma città aperta”) rallenti un po’ la stringatezza dell’assunto e faccia passare in secondo piano la drammaticità delle situazioni. Ma c’è una sincerità forte di fondo, e la regia di Blasetti è scorrevole, lucida, fintamente distratta. La parte finale della Comunione in chiesa è seria, giusta, capace di dare risalto alla sacralità della funzione.  Nella scheda di valutazione della Commissione si legge: ” Il lavoro è stato concepito col proposito di recare un messaggio di bontà e d’umana comprensione; ma con tali sentimenti contrastano vivamente parecchie sequenze ispirate a grossolana e pur maliziosa sensualità. Anche alcuni acceni ad ecclesiatici sembrano poco opportuni. La visione è ammessa per adulti di piena maturità morale. (…)”  (cfr, Segnalazioni Cinematografiche, vol. XXVIII – 1950, pag. 141).


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