Proposta numero otto per l’Anno della Fede

martedì 11 Giugno 2013
Un articolo di: Redazione

Carl Theodor Dreyer resta ad oggi tra i più importanti registi europei della prima metà del secolo scorso. Nato il 3 febbraio 1889 (non si sa se in Danimarca o Svezia ma la famiglia adottiva lo cresce a Copenaghen), esordiente nel 1919 con “Praesidenten”, il suo titolo più importante negli anni del muto è “Il processo di Giovanna d’Arco” (1928). Nel dopoguerra firma due titoli: “Ordet – La Parola” (1954) e “Gertrud” (1956). Attraverso 40 anni di lavoro, Dreyer ha costruito  un cinema di splendida lucidità e di strigente severità.. Nel fermare il tempo con i piani fissi e  nel muovere con inquieta plasticità gli spazi, l’autore cadenza una profondità espressiva che accompagna alte riflessioni condensabili nella scritta che chiude “Gertrud”: “Tutto è amore”.  Merita aggiungere che, quando muore il 20 marzo 1968, era quasi pronto il progetto forse per lui più importante: il film su Cristo, meditato a lungo nei decenni precedenti e finalmente  arrivato ad una stesura definitiva. Regista rigoroso, nell’inquietudine delle domande ricorrenti su felicità, anima, e il dubbio della trascendebza, Dreyer risulta ancora oggi da vedere  e studiare con grande attenzione.

Dopo la visione della pellicola, così scrive il Centro Cattolico Cinematografico: “Una vicenda drammatica raccontata con stile asciutto e severo, controllatissimo nei movimenti di macchina ed essenziale nelle scenografie. L’inconfondibile impronta del regista si rivela, oltre che nella rigorosa solennità figurativa, soprattutto nel clima di inquieta e sofferta ricerca della verità che permea l’intera opera.

Ill film è incentrato sulla figura di una donna alla continua ricerca dell’amore in cui essa, alla fine della vita, crede ancora malgrado  le amare esperienze vissute e la solitudine che l’ha sempre accompagnata. La tensione continua di quest a ricerca dell’assoluto, cui sembrano tendere in vari modi anche altri personaggi, nonostante l’assenza dei valori trascendentali, ne fa, di questi, percepire la necessità. La difficoltà nell’interpretazione di un problema così elevato motiva la classifica:  II”  (Segnalazioni Cinematografiche, vol. 64, pag. 14 – 1970).


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