Al cinema “Quando”, “Dungeons & Dragons” e “Armageddon Time”

venerdì 31 Marzo 2023
Un articolo di: Sergio Perugini

Ritratti familiari giocati tra commedie, drammi di matrice politico-sociale e fantasy. Un filo rosso che corre lungo tre titoli nelle sale a fine marzo. Dopo un passaggio al Bari international film festival, è nei cinema “Quando” di Walter Veltroni con Neri Marcorè e Valeria Solarino, sguardo tragicomico striato di nostalgia che ripercorre la storia del Paese dagli anni ’80 a oggi. Da Hollywood, due titoli di richiamo: la commedia avventurosa di matrice fantastica “Dungeons & Dragons: L’onore dei ladri” del duo Jonathan Goldstein e John Francis Daley, con Chris Pine e Michelle Rodriguez, che porta sullo schermo il noto gioco di ruolo lanciato negli anni ’70 negli Stati Uniti; e ancora, “Armageddon Time. Il tempo dell’apocalisse” firmato James Gray, rilettura graffiante e malinconica della propria infanzia, del difficile dialogo in famiglia, nella New York di inizio anni ’80, all’alba della presidenza Reagan. Nel cast Anne Hathaway, Jeremy Strong e Anthony Hopkins. Punto Cnvf-Sir.

“Quando” (Cinema, 30.03)
Dopo una serie di documentari giocati tra politica, società e valore della memoria – “Quando c’era Berlinguer” (2014), “I bambini sanno” (2015) e “Indizi di felicità” (2017) –, compreso un film di finzione (“C’è tempo”, 2019), Walter Veltroni è tornato dietro alla macchina da presa per adattare un suo romanzo del 2018: parliamo di “Quando”, di cui oltre alla regia firma anche la sceneggiatura insieme a Doriana Leondeff e Simone Lenzi. Prodotto dalla Lumière & Co. di Lionello Cerri, “Quando” trova la sua forza su un soggetto acuto e interessante, ma anche per un cast bene scelto, di cui è capofila un ottimo Nei Marcorè. Accanto a lui Valeria Solarino, Fabrizio Ciavoni e Olivia Corsini; da ricordare anche Gian Marco Tognazzi, Stefano Fresi e Michele Foresta.
La storia. Nel giugno del 1984, in una piazza San Giovanni gremita per il ricordo dello scomparso leader del Pci Enrico Berlinguer, un palo ferisce e manda in coma Giovanni, un giovane diciottenne. Dopo 31 anni, nel 2015, Giovanni si risveglia destando non poca sorpresa tra i medici e suor Giulia, che lo vegliava da anni. Dopo lo spaesamento iniziale, Giovanni prova a rimettersi in partita con la vita grazie a suor Giulia e al giovane introverso Leo, affetto da mutismo selettivo. Il suo primo obiettivo, ormai quasi cinquantenne, è ritrovare il suo grande amore, Flavia.
“Ho cercato di raccontare questa storia – ha dichiarato Veltroni – intrecciando il percorso della comprensione di un mondo caotico e così diverso dal passato, dei mutamenti politici e tecnologici con quello della ricerca di affetti consumati dal tempo. Può essere una fiaba. Forse è un modo per parlare di questo tempo e di noi, oggi”. Parole che ben descrivono
il tratto dominante del film, la malinconia, il rimpiangere un tempo sfuggito via troppo presto. Giovanni sperimenta un cortocircuito emotivo-esistenziale: tutte le sue certezze sono crollate, si sono dissolte nei tre decenni in cui ha chiuso gli occhi al mondo: non ritrova più la sua musica – si chiede che fine abbiano fatto Battisti, Dalla, De Andrè, Daniele – come pure i riferimenti politici: nel domandare a suor Giulia chi sia il nuovo segretario del Pci, lo sguardo di risposta della religiosa è eloquente, un senso di vuoto mai colmato. Ancora, quando un professore chiede a Giovanni come si senta, gli risponde con disincanto: “Come un marziano! Sono caduto 31 anni fa tra le bandiere rosse di pizza San Giovanni e mi sono svegliato tra le pareti bianche di un ospedale cattolico”.
Nel film di Veltroni non c’è però solamente la nostalgia per una dimensione politica, partecipativa e culturale tramontata, emerge anche una riflessione sulla famiglia, sul rapporto genitore-figlio, nello specifico sul ruolo di padre, da cui non si può e non si deve abdicare. Rispetto ai titoli precedenti, Veltroni regista convince ancora di più, perché sembra governare il racconto cinematografico con maggiore consapevolezza e controllo, muovendosi con decisa disinvoltura tra note brillanti, malinconiche e poetiche. Merito anche di un “primo violino” eccellente, Neri Marcorè, che regala al personaggio di Giovanni colore e calore, rendendolo prossimo. Bene, misurata, anche Valeria Solarino nei panni di suor Giulia, cui dà freschezza e attualità, evitando inciampi in macchiette stereotipate. “Quando” è consigliabile, poetico, per dibattiti.

“Dungeons & Dragons: L’onore dei ladri” (Cinema, 30.03)
Viene ricordato non come uno dei tanti, bensì come “il” gioco di ruolo più apprezzato. Parliamo di “Dungeons & Dragons”, lanciato sul mercato degli Stati Uniti nella metà degli anni ’70 e che ha conosciuto grande popolarità nel decennio successivo. La via del cinema era stata già tentata – in maniera poco convincente – all’inizio degli anni Duemila con “Dungeons & Dragons. Che il gioco abbia inizio” (2000) diretto da Courtney Solomon con Jeremy Irons e Thora Birch. L’attenzione si riaccende ora con un nuovo titolo targato Paramount Pictures, “Dungeons & Dragons: L’onore dei ladri” (“Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves”), scritto e diretto dal duo Jonathan Goldstein e John Francis Daley, autori dei copioni di “Spider-Man: Homecoming” (2017) e dell’imminente “The Flash” (2023). Protagonisti Chris Pine, Michelle Rodriguez, Regé-Jean Page, Hugh Grant e con un cameo (esilarante!) di Bradley Cooper.
La storia. A seguito di una tentata rapina, Elgin (Chris Pine) e l’amica guerriera Holga (Michelle Rodriguez) sono reclusi in una remota prigione. Elgin vuole a tutti i costi evadere perché deve ricongiungersi con la figlia adolescente Kira (Chloe Coleman), abbandonata nelle mani dello spregiudicato truffatore Forge (Hugh Grant). Una volta in libertà, Elgin e Holga mettono insieme un gruppo di guerrieri – il mago Simon (Justice Smith), l’elfo Doric (Sophia Lillis) e il cavaliere Xenk (Regé-Jean Page) – per espugnare il regno di Neverwinter, la fortezza dove Forge tiene chiusa Kira e la Tavoletta del risveglio, oggetto magico in grado di riportare in vita una persona morta. A ostacolare i loro piani la potente maga Rossa Sofina (Daisy Head)….
Sul binario del racconto fantasy di matrice avventurosa, puntellato da diffuse tonalità comiche, “Dungeons & Dragons: L’onore dei ladri” è un film pensato per un pubblico adolescente (anche preadolescente) e adulto, richiamando in sala soprattutto gli appassionati del gioco. Sorretto da una generosa dose di effetti speciali, a tratti eccessivi o fuori controllo, il racconto scorre veloce e compatto, con una viva tensione. Qua e là dei passaggi risultano tirati via in maniera furba, ma nel complesso la narrazione procede spedita senza incontrare stanchezza o lungaggini. Gli attori stanno al gioco, anche in maniera divertita, amalgamando ancora di più il racconto. Una proposta vivace, improntata all’evasione. Consigliabile, semplice.

“Armageddon Time. Il tempo dell’apocalisse” (Cinema, 23.03)
Dopo aver cercato di risolvere il rapporto con la figura paterna tra le stelle, nel dramma spaziale “Ad Astra” (2019), il regista newyorkese James Gray ha deciso di mettere in racconto la propria infanzia, segnata da un dialogo faticoso con i genitori e da tensioni politico-sociali roventi, deflagrate con l’inizio della presidenza di Ronald Reagan. Parliamo del film “Armageddon Time. Il tempo dell’apocalisse”, presentato in gara al 75° Festival di Cannes (2022) e poi alla 17a Festa del Cinema di Roma, ora nei cinema con Universal. Protagonisti nomi di peso nell’industria a stelle e strisce: Anne Hathaway, Jeremy Strong, Anthony Hopkins e Jessica Chastain.
La storia. New York 1980. Mentre Reagan domina la campagna elettorale, il preadolescente Paul (Banks Repeta) fronteggia uno stato di confusione tra casa e scuola. Il rapporto con i genitori Esther e Irving risulta difficile, teso – l’unico in famiglia a capirlo, con dolcezza e saggezza, è il nonno Aaron –, nella nuova scuola frequentata da rampolli di buona famiglia, in cerca dell’ascensore sociale, le cose non vanno meglio. A segnare la sua adolescenza l’amicizia con il meno fortunato Johnny (Jaylin Webb).
James Gray mette in racconto non solo la sua famiglia, il difficile percorso di affrancamento dalle umili origini, ma in generale il “sogno americano”: il regista smonta e scompone uno dei pilastri socio-culturali del Paese, svelandone ambiguità e illusioni. Lo fa con una cifra dolente viziata da sofferenza e astio: mostra i chiaroscuri di una società che si dipinge meritocratica, dove però all’interno dimorano ancora feroci spinte discriminatorie di stampo razzista o antisemita. Gray non è tenero né verso la famiglia né verso la città natale, il Paese tutto.
Tratteggia il suo percorso di crescita svelandone l’inganno, sottolineando il bagno di realtà incontrato sulla soglia della vita adulta, dove l’illusione cede il passo al cinismo.
A ben vedere, non tutto sembra tornare nella logica del racconto, nella gestione dei contenuti, ma l’intensità condotta dagli interpreti – splendido il trio Hopkins, Hathaway e Strong – appiana sbavature e incertezze, portando a casa il film. Complesso, problematico, per dibattiti.

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