“Tori e Lokita” dei fratelli Dardenne e il cartoon Disney “Strange World”

venerdì 25 Novembre 2022
Un articolo di: Sergio Perugini

Bentornati fratelli Dardenne! Il loro cinema è come sempre portatore di uno sguardo sociale urgente e attuale, mai privo però di riverberi poetici. I due registi belgi, vincitori di due Palme d’oro al Festival di Cannes, arrivano nelle sale italiane con il film “Tori e Lokita” distribuito da Lucky Red. Una storia di ultimi, di migranti, che si sostengono aggrappandosi al sogno di salvezza che batte bandiera europea. Una storia dura, asciutta, che fa tremare i polsi e intenerire il cuore. Sempre al cinema il cartoon della Disney “Strange World. Un mondo misterioso” del premio Oscar Don Hall (“Big Hero 6”), una favola sociale di matrice ecologista e familiare che corre sul binario del cinema avventuroso alla “Indiana Jones”. Le voci dei protagonisti sono di Francesco Pannofino e Marco Bocci. Punto Cnvf-Sir.

“Tori e Lokita” (dal 24.11 al cinema)
“Non raccontiamo il gruppo sociale dei migranti, ma parliamo di persone”. Così hanno sottolineato nell’incontro con la stampa italiana i fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne presentando il loro ultimo lavoro, “Tori e Lokita”, in concorso a Cannes e vincitore del premio per il 75° anniversario del Festival. Sempre fedeli e coerenti alla loro idea di cinema, quello di matrice civile e di respiro sociale – tra i loro film più apprezzati “Rosetta” (1999), “L’Enfant. Una storia d’amore” (2005), “Il ragazzo con la bicicletta” (2011) e “Due giorni, una notte”(2014) –, i Dardenne continuano a presidiare la condizione degli invisibili e inascoltati, proprio come il britannico Ken Loach. Il loro è un cinema di “servizio pubblico”, pronto a cogliere storture e fratture sociali. È così anche con “Tori e Lokita”, uno sguardo livido e candido sulla condizione dei “minorenni non accompagnati”, migranti africani che scompaiono nel silenzio assordante di un’Europa fin troppo distratta.
La storia. Belgio oggi, Lokita (Joely Mbundu) e Tori (Pablo Schils) sono due migranti africani ospitati temporaneamente in un centro di accoglienza. Lokita è una sedicenne del Camerun, Tori un preadolescente del Benin; non sono fratelli, ma le avversità sperimentate nella traversata della speranza, nella morsa della malavita, li ha uniti quasi come una famiglia. In attesa dei documenti per cominciare una nuova esistenza, Tori e Lokita si guadagnano da vivere al soldo di uno spregiudicato cuoco che li sfrutta nel traffico di stupefacenti….
“Non si tratta solo di essere presenti l’uno per l’altro, di aiutarsi a vicenda. Si tratta anche di non poter stare l’uno senza l’altro, di amarsi come fratello e sorella, di formare una famiglia per non rimanere soli nel buio con i propri incubi”. Le parole dei Dardenne ben traducono il pathos che si sperimenta nella visione di “Tori e Lokita”: ci si trova dinanzi al peregrinare di due innocenti che hanno però sulle spalle pesi gravosi, da adulti. A loro non è stato risparmiato nulla: violenze, umiliazioni, sfruttamento, frode e inganno. Il mondo dei grandi sembra avergli voltato le spalle. Ma Tori e Lokita non si abbandonano allo sconforto, non si lasciano andare allo smarrimento; al contrario, si sostengono, si abbracciano, si fanno forza e vanno avanti aggrappandosi a quella flebile fiamma di speranza che arde nonostante tutto.
Picchiano duro i Dardenne, come sempre, ma con efficacia. Allargano infatti il campo dello sguardo inquadrando chi è disperato, chi vive sul crinale della sofferenza, cui spesso la società Occidentale si rivolge con superficialità. Un cinema di denuncia, che intercetta temi e valori condivisi. Le loro istanze sembrano sintonizzarsi alla perfezione sul magistero di papa Francesco, su quella “Chiesa ospedale da campo”.
Seppure lo sfondo sociale e antropologico che i Dardenne tratteggiano risulta crudo e disperante, il loro cinema si fa portavoce anche di dolcezza, quello sguardo degli innocenti, che nonostante siano impantanati nel Male cercano di discostarsene. Tori e Lokita, grazie alla tenerezza condivisa si immunizzano dalla disperazione, dallo scivolare nella vertigine del Male. Resistono, o almeno ci provano.
Dolente e bruciante, il film dei fratelli Dardenne è un titolo da non perdere nell’affollata proposta cinematografica di fine novembre. Un’opera che coinvolge e un poco sconvolge, che di certo andrebbe fatta vedere nelle scuole superiori. Consigliabile, problematico, per dibattiti.

“Strange World. Un mondo misterioso” (dal 23.11, al cinema)
“Questo progetto è nato da alcune riflessioni personali sui miei figli e sul mondo che erediteranno”, afferma il regista Don Hall (Premio Oscar per “Big Hero 6”, 2014) introducendo il suo ultimo film, il cartoon Disney “Strange World. Un mondo misterioso”. L’autore aggiunge: “In cosa si differenzia dal mondo che avevo ereditato da mio padre? Come possiamo essere dei bravi antenati per coloro che verranno dopo di noi?”.
Da tali parole e quesiti si comprende con chiarezza la linea del cartoon natalizio della Disney, che sbarca nelle sale italiane il 23 novembre, mettendo a tema argomenti in primo piano nel nostro presente: l’ecologia, la cura della natura e del creato, come pure la custodia dei legami familiari e il valore del dialogo. Il tutto declinato in chiave brillante e avventurosa, sul tracciato di modelli narrativi ben noti: in testa la saga “Indiana Jones” di Steven Spielberg, e in particolare “Indiana Jones e l’ultima crociata” (1989) con il duetto padre-figlio Henry e Indiana interpretato dai magnifici Sean Connery e Harrison Ford. Ancora, il cartoon sembra richiamare le dinamiche di “Jurassic Park” (dal 1993) e del cult “The Goonies” (1985).
La storia. La comunità di Avalonia deve molto alla famiglia Clade, soprattutto per la scoperta di una pianta che genera energia capace di far muovere ogni mezzo e attività della città. Il capostipite dei Clade, Jaeger (con la voce di Francesco Pannofino) è un coraggioso esploratore dato per disperso da anni; suo figlio Searcher (Marco Bocci) ha seguito le orme del padre, dedicandosi soprattutto alla ricerca. Oggi Searcher, all’età di 40 anni, è un agricoltore felice, sposato con la pilota Meridian (Lucy Campeti) e padre del sedicenne Ethan. Quest’ultimo (Lorenzo Crisci) si muove sull’esempio del padre e del nonno, desideroso però di trovare la propria strada nel mondo. I Clade sono chiamati a una nuova sfida per il bene della comunità: la loro unica fonte di energia sembra infatti scarseggiare…
“Strange World. Un mondo misterioso” è sceneggiato e co-diretto da Qui Nguyen – lui e Don Hall hanno lavorato già insieme in “Raya e l’ultimo drago” nel 2021 – e la linea del racconto da subito fa comprendere la sua traiettoria: una storia che pur muovendosi nel perimetro del fantastico, del fumetto, risulta una convincente metafora per la società odierna. Filo rosso è l’impegno ecologista, la difesa e la custodia della “casa comune”, richiamando le parole di papa Francesco nell’Enciclica “Laudato sì”. Un impegno-esortazione educativa che gli autori e la Disney desiderano condividere con gli spettatori, piccoli e grandi. Un invito alla gestione responsabile delle risorse, soprattutto a saper trovare l’approccio energetico più corretto, anche a costo di qualche sacrificio.
Al contempo “Strange World. Un mondo misterioso”, usando l’espediente della missione scientifica sulla scia dei divulgatori Piero e Alberto Angela, si addentra nelle pieghe della famiglia per metterne a fuoco dinamiche e dialogo. Tre generazioni allo specchio: nonno (Jaeger), padre (Searcher) e figlio (Ethan), i quali sono chiamati a interrogarsi sul loro legame, tra incomprensioni, tenerezze e bisogno di trovare il proprio spazio (e autonomia). E affrontando il tema della famiglia, la Disney sceglie di raccontarla nella direzione dell’inclusione più ampia, ricomprendendo pertanto tematiche identitarie, sociali, culturali, razziali e LGBTQ+.
Nell’insieme “Strange World. Un mondo misterioso” è un cartoon colorato, dal ritmo crescente e dalla confezione accattivante di matrice classica; una storia che invita soprattutto al rispetto e alla custodia della Natura, della famiglia. Consigliabile, problematico, adatto per dibattiti.

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