Venezia76: terzo giorno alla Mostra. In concorso “Ad Astra” di Gray, “J’accuse” di Polanski e “Il sindaco del rione Sanità” di Martone

sabato 31 Agosto 2019
Un articolo di: Sir-Cnvf

Terzo giorno al Lido, venerdì 30 agosto, per la 76a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Ancora una volta titoli forti e autori di primo piano: anzitutto “Ad Astra” di James Gray, presentato ieri sera alle 22.00 al pubblico, “J’accuse” di Roman Polanski sul caso Alfred Dreyfus e “Il sindaco del rione Sanità” di Mario Martone, su copione di Eduardo De Filippo. Il punto sulle proiezioni direttamente da Venezia con il Sir e la Commissione nazionale valutazione film (Cnvf) della Cei.

“Ad Astra”
È un thriller spaziale a sfondo esistenziale “Ad Astra” diretto da James Gray, regista newyorkese classe 1969, e prodotto da Brad Pitt, che si ritaglia anche il ruolo di protagonista assoluto. Del cast fanno parte inoltre Tommy Lee Jones, Donald Sutherland, Liv Tyler e Ruth Negga. La vicenda: un maggiore degli Stati Uniti accetta una missione spaziale rischiosa che lo conduce sin ai margini dello Spazio. “Il regista Gray” – indica Massimo Giraldi, presidente della Cnvf e membro della giuria cattolica Signis al Festival – “si appropria della tematica dell’avventura spaziale, genere caro alla storia del cinema, per mettere a fuoco il rapporto uomo-Infinito, con richiami alla narrativa di Arthur C. Clarke e cinema di Stanley Kubrick. Il racconto è molto dettagliato e suggestivo, secondo i consueti canoni di Hollywood, industria che si conferma leader nella messa in scena per la fantascienza: sguardi immersivi, effetti speciali sorprendenti e stilisticamente seducenti. Il regista lavora molto anche sui dettagli, sui primi piani dell’astronauta Pitt, indubbiamente bravo ma talvolta legnoso”. “Non c’è traccia solo di Kubrick” – aggiunge Sergio Perugini, segretario della Cnvf e giurato Signis – “ma anche del Cuarón di ‘Gravity’ e del Nolan di ‘Interstellar’, persino del Malick di “The Tree of Life”. Il film ‘Ad Astra’ ci conduce negli angoli più nascosti nel nostro sistema solare, una conquista fisica, ma anche nelle profondità delle pieghe dell’animo umano. Il protagonista si perde nello Spazio per ritrovare se stesso, per capire che il senso del proprio (nostro) vivere è racchiuso negli affetti e nella condivisione. A portata di mano. Il film è poi un confronto con gli irrisolti personali e le mancanze familiari, soprattutto della figura paterna”. Dal punto di vista pastorale, il film è consigliabile, problematico e da proporre in occasioni di dibattito.

“J’accuse”
Si tratta di una prova di grande cinema per il regista franco-polacco Roman Polanski, classe 1933. Scritto dallo stesso Polanski insieme a Robert Harris – autore del romanzo originario – “J’accuse” propone la storia vera dello scandalo che coinvolse i vertici militari, la politica e la società tutta in Francia sul finire del ‘800. Si tratta dell’accusa di tradimento per il capitano dell’esercito francese Alfred Dreyfus (Louis Garrel), di origini ebraiche, condannato in direttissima e spedito in esilio in un’isola africana. Tempo dopo il colonnello Georges Picquart (Jean Dujardin) si insospettisce sulle procedure adottate per le indagini contro Dreyfus, così inizia a riesaminare il caso scoprendo una serie di omissioni e falsificazioni di prove. Una notizia che fa tremare lo stato maggiore dell’esercito e i palazzi del governo. “Ancora una volta Polanski” – afferma Giraldi – “dimostra una vitalità e una forza espressiva fuori dal comune, riportando alla luce un caso storico che a suo tempo scosse la Francia e che oggi ripropone con una carica di forte attualità. I temi della giustizia e della verità si dimostrano quanto mai necessari e urgenti. Polanski manovra queste tematiche spinose con una regia robusta e grintosa, che ricostruisce con meticolosità la Francia sulla cerniera tra Ottocento e Novecento. La messa in scena, dalla grande forza espressiva, regge bene il confronto con il miglior cinema hollywoodiano”. “A oggi è il film più solido e importante visto in Concorso a Venezia76”, dichiara Perugini che poi aggiunge: “’J’accuse’ si muove su una sceneggiatura ben congeniata, evitando le insidie tipiche dei film storici. È un thriller giudiziario che mette a tema la verità ma anche la discriminazione verso la comunità ebraica nella Francia del tempo. Il cast risponde con intensità al suo direttore di orchestra, Polanski, soprattutto Jean Dujardin offre un’interpretazione grintosa e decisa da premio. Un film che aiuta a recuperare un’importante pagina della Storia, capace di parlare con efficacia anche all’oggi”. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti e approfondimenti educational.

“Il sindaco del rione Sanità”
Il soggetto è una commedia di Eduardo De Filippo del 1960. Parliamo del “Sindaco del rione Sanità” che è stato riadattato per il teatro nel 2017 dal regista napoletano Mario Martone (classe 1959) insieme a Ippolita di Mayo. Ora a distanza di due anni il regista ne ha fatto un film ambientato sempre nella città partenopea, esplorando le zone più difficili abitate da un’umanità stanca e dispersa. La storia: Antonio Barracano (Francesco Di Leva) tiene le fila del rione Sanità a Napoli. Tutto si decide con il suo consenso, nulla può avvenire senza che lui veda o autorizzi. La vicenda si svolge nel corso di un’intera giornata, dagli incontri con i familiari e fedelissimi alle richieste che vengono dalle gente del rione. “È senza dubbio interessante l’operazione che fa Martone” – sottolinea Giraldi – “recuperando un classico di Eduardo e mettendolo in scena nello spirito del tempo, della criminalità di oggi ampiamente raccontata da cinema e serie Tv. Seppure sia un film, la recitazione risente molto del clima teatrale, essendo girato quasi tutto in interni. La storia può apparire piana, persino scontata, ma acquista densità lungo il racconto; c’è persino l’impressione di poter cogliere dei rimandi cristologici nel finale, passaggio forse un po’ insistito da parte del regista”. “Alle prime battute del film – rimarca Perugini – sembra di assistere a una versione sottotono di ‘Gomorra’ o ‘La paranza dei bambini’, quando l’intensità nera del racconto sbanda con toni ironici o persino umoristici. Poi il film decolla verso un altro orizzonte, orientandosi verso un dramma shakespeariano giocato tra bene-male, amore-odio, con monologhi finali densi di pathos e carichi di desiderio di riconciliazione, di abbandonare la strada del sangue a favore di un orizzonte di pace. Siamo però sempre in ambito malavitoso e questo non va dimenticato”.
Dal punto di vista pastorale il film è complesso, problematico e adatto per dibatti.

Articolo originale pubblicato su Agenzia SIR


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