
In Concorso alla 79a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2022)
Interpreti e ruoli
Daniel Gimenez Cacho (Silverio), Griselda Siciliani (Lucia), Ximena Lamadrid (Camila), Iker Sanchez Solano (Lorenzo), Andrés Almeida (Martin), Francisco Rubio (Luis)
Soggetto
Los Angeles, Silverio è un giornalista e documentarista di origini messicane che vive da anni negli Stati Uniti con moglie e figli. Quando riceve un importante riconoscimento in Messico decide di valicare il confine e ritornare nel suo Paese natale, attivando un flusso di ricordi ed emozioni...
Valutazione Pastorale
Ha vinto tutto o quasi il regista Alejandro G. Iñárritu, e con appena dieci lungometraggi. Forte di cinque Premi Oscar (tra cui due come miglior regista) e riconoscimenti al Festival di Cannes, torna alla Mostra di Venezia a otto anni da “Birdman” del 2014 (film d’apertura dell’edizione 71), mettendosi seriamente in corsa per il Leone d’oro. Con “BARDO, Falsa crónica de unas cuantas verdades”, da lui diretto e scritto a quattro mani con Nicolás Giacobone – Iñárritu ne cura anche montaggio e musiche –, mette in campo un progetto ambizioso e imponente, dai richiami personali e al contempo legato alla memoria sociale del proprio Paese. In Concorso alla 79a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. La storia. Los Angeles, Silverio (Daniel Giménez Cacho) è un giornalista e documentarista di origini messicane che vive da anni negli Stati Uniti con moglie e figli. Quando riceve un importante riconoscimento in Messico decide di valicare il confine e ritornare nel suo Paese natale, attivando un flusso di ricordi ed emozioni. Rapsodico, lirico, onirico, a tratti delirante. Con “BARDO, Falsa crónica de unas cuantas verdades” Iñárritu sembra rifarsi allo stile di racconto di Federico Fellini, in primis a “8½”, con richiami poi a “Giulietta degli spiriti” e “E la nave va”. Un torrenziale flusso di ricordi e suggestioni che in alcuni passaggi sembrano rifarsi al successo del compatriota Alfonso Cuarón, il suo struggente “Roma” (2018), come pure a “The Tree of Life” (2011) di Terrence Malick. A ben vedere, “BARDO” è ben altro ancora: un racconto che annoda frammenti del passato del regista con una storia di finzione che oscilla tra realismo e immaginazione, un groviglio di emozioni e allucinazioni. Come sottolinea l’autore: “Il tempo e lo spazio si intrecciano, e la narrazione che costituisce ‘la nostra vita’ non è molto più di un falso miraggio. (…) È la verità dell’emozione che io voglio ricercare, nell’enorme baule pieno di chimere che mi porto dietro”. Nell’insieme, “BARDO” è un’opera che stupisce per ambizione, regia e messa in scena; un film denso e imponente che rischia però di rimanere impigliato in un narcisismo espressivo poco controllato. Il talento di Iñárritu non si discute, la sua regia e la sua idea di cinema sono del tutto solide, lungimiranti, ma qui la linea del racconto rischia di scappare di mano, disarcionata da una lunghezza eccessiva (174’). Nel racconto tanti i temi di rilievo, a cominciare dalla famiglia, dal rapporto genitore-figlio, dall’esplorare il dramma di una genitorialità mutilata dalla perdita di un figlio appena nato e del complesso percorso di accettazione di tale tragedia. E ancora, una riflessione sul senso del cinema, del giornalismo e del forte dissidio culturale-identitario che corre sul confine tra Messico e Stati Uniti. Film complesso, problematico-poetico, per dibattiti.
Utilizzazione
Indicato per la programmazione ordinaria e per successive occasioni di dibattito.