Elvis

Valutazione
Consigliabile, Problematico, Adatto per dibattiti
Tematica
Arte, Avidità, Denaro, Dialogo, Emarginazione, Famiglia, Famiglia - genitori figli, Guerra, Mass-media, Matrimonio - coppia, Musica, Politica-Società, Potere, Razzismo, Storia, Tematiche religiose
Genere
Biografico, Drammatico, Musicale, Storico
Regia
Baz Luhrmann
Durata
159'
Anno di uscita
2022
Nazionalità
Australia, Stati Uniti
Titolo Originale
Elvis
Distribuzione
Warner Bros Italia
Soggetto e Sceneggiatura
Soggetto: Baz Luhrmann, Jeremy Doner. Sceneggiatura: Baz Luhrmann, Sam Bromell, Craig Pearce, Jeremy Doner
Fotografia
Mandy Walker
Musiche
Elliott Wheeler
Montaggio
Matt Villa, Jonathan Redmond
Produzione
Baz Luhrmann, Gail Berman, Catherine Martin, Patrick McCormick, Andrew Mittman, Schuyler Weiss, Rory Koslow. Casa di produzione: Warner Bros., Bazmark Films, Roadshow Entertainment, The Jackal Group, Whalerock Industries

Il film è stato presentato in fuori Concorso al 75° Festival di Cannes (2022)

Interpreti e ruoli

Austin Butler (Elvis Presley), Tom Hanks (Colonnello Tom Parker), Olivia DeJonge (Priscilla Presley), Helen Thomson (Gladys Presley), Richard Roxburgh (Vernon Presley), Kelvin Harrison Jr. (B.B. King)

Soggetto

Vita, arte e fragilità di Elvis Presley, "The King", raccontato attraverso il punto di vista del discusso manager, il colonnello Tom Parker...

Valutazione Pastorale

“Heartbreak Hotel”, “Jailhouse Rock”, “Hound Dog”, “Love Me Tender”, “Can’t Help Falling in Love”, “Suspicious Minds”… La lista di brani celebri cantati da Elvis Presley è lunga, lunghissima. Muovendosi tra Rock and roll, Blues e Country, menzionandone i principali stili, Elvis è diventato un’icona musicale, culturale e mediatica del XX secolo, il cui mito si è andato amplificando anche dopo la morte, come del resto per Marilyn Monroe. Vita, arte e fragilità di King Presley sono messe in racconto al cinema in “Elvis” dall’eclettico regista australiano Baz Luhrmann – ha diretto pochi film, ma tutti di chiara riconoscibilità “Romeo + Giulietta” (1996), “Moulin Rouge!” (2001), “Australia” (2008) e “Il grande Gatsby” (2013) –, che ha scelto come taglio narrativo il rapporto a corrente alternata tra il manager, padre-padrone, colonnello Tom Parker e l’artista del Mississippi, un sodalizio fortunato e insieme claustrofobico durato ben vent’anni (la carriera di Elvis si gioca in ventiquattro anni). Quella tra il colonnello Parker ed Elvis è una storia che si muove tra luci e ombre: da un lato Parker ha avuto intuizioni geniali, scoprendo negli Stati Uniti degli anni ’50 il talento dell’artista appena maggiorenne, già dalla voce inconfondibile e dalle movenze rivoluzionarie (il soprannome “Elvis the pelvis”, per il movimento seducente di bacino), facendo di lui un’icona vivente e al tempo stesso un oggetto da merchandising anzitempo, in America e nel resto del mondo; dall’altro lato, Parker controllava tutto del divo, dai brani musicali ai luoghi delle performance, compreso chi dovesse frequentare (influendo anche nella storia con la moglie Priscilla) oppure la gestione del patrimonio personale. Che dire di questo “Elvis” targato Luhrmann? Il film è una fragorosa esplosione rock, colorata e caotica, condizionato soprattutto dall’entusiasmo debordante del regista, che muove la macchina da presa in maniera vorticosa, componendo un can-can seducente e destabilizzante nello stile “Moulin Rouge!”. Fin troppo. Tutto appare chiaro già dagli sbrilluccicanti titoli di testa. E in tale delirio narrativo-visivo che ci guida alla scoperta del mito, riletto a partire dalla prospettiva del colonnello Parker, il film trova senso solo quando l’Elvis è sul palco, di fronte al microfono, dando vita alle sue indimenticabili performance: quando Elvis canta, si muove con elegante agitazione, magnetico, tutto si ferma… Lì è il cuore del film, tutta la sua forza narrativa, dolente e poetica. Lì risiede la forza espressiva di Elvis, il ruggito sul palco e tutte le rumorose insicurezze interiori, le fragilità legate ai due amati (e problematici) genitori, alla dipendenza dal manager aguzzino e all’incapacità di affrancarsi dall’immagine ingabbiante di sé. Tom Hanks si conferma un talento raro, capace di sagomare sempre con grande finezza e credibilità i ruoli che gli vengono di volta in volta affidati, sia esemplari che miseri come quello del colonnello Parker. Austin Butler sorprende per la straordinaria aderenza a Elvis Presley, la sua mimesi fisica e vocale è davvero spiazzante. È il ruolo della vita per un artista (con la speranza di non rimanervi scottati o appiccicati…). Punto di originalità e al contempo di debolezza del film è la regia di Baz Luhrmann: l’autore appare schiavo del suo inconfondibile stile eccessivo, pop e poetico, al punto quasi da non sapersene liberare. Qui maneggia il mito di Elvis, di per sé già stratificato e ingombrante, pertanto sovraccaricare meno il racconto avrebbe di certo giovato. Nel complesso, “Elvis” è un biopic che infiamma e confonde, che regala comunque il sogno, la possibilità di rivedere e riascoltare ancora una volta “The King”… Lunga vita al re del Rock and roll! Consigliabile, problematico e per dibattiti.

Utilizzazione

Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni di dibattito.

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