IL MALE OSCURO

Valutazione
Discutibile, scabrosità
Tematica
Matrimonio - coppia, Metafore del nostro tempo
Genere
Grottesco
Regia
Mario Monicelli
Durata
113'
Anno di uscita
1990
Nazionalità
Italia
Titolo Originale
IL MALE OSCURO
Distribuzione
Artisti Associati International
Soggetto e Sceneggiatura
Suso Cecchi D'amico, Tonino Guerra dal romanzo omonimo di Giuseppe Berto
Musiche
Nicola Piovani
Montaggio
Ruggero Mastroianni

Sogg.: dal romanzo omonimo di Giuseppe Berto - Scenegg.: Suso Cecchi D'amico, Tonino Guerra - Fotogr. (panoramica/a colori): Carlo Tafani - Mus.: Nicola Piovani - Montagg.: Ruggero Mastroianni - Dur.: 113' - Produz.: Clemi Cinematografica.

Interpreti e ruoli

Giancarlo Giannini (Giuseppe Marchi), Emmanuelle Seigner (la moglie), Stefania Sandrelli (Sylvaine), Vittorio Caprioli (lo psicanalista), Chiara Argelli, Benito Artesi, Oriana Baciardi, Giovanni Baghino, Santo Bellina.

Soggetto

Dominato da piccolo da un padre dispotico nella propria divisa di maresciallo dei carabinieri su di una famiglia modesta, mantenuto agli studi grazie a grandi sacrifici e sempre frustrato da difficoltà e angustie, il cinquantenne Giuseppe Marchi aggiunge alle sue pene il rimpianto amaro di non aver fatto in tempo a rivedere il genitore sul letto di morte. Sceneggiatore di scarso successo, dopo aver vissuto con Sylvaine (una vedova francese), egli si fa irretire da una ragazza molto più giovane che, ormai incinta, sposa. Marchi, che in realtà sogna di scrivere il romanzo della propria vita, non riesce neppure a farsi accettare un copione su Giuda, rivisitato con intenti commerciali. Egli si autocommisera sempre, accusa mali ignoti e dolori laceranti, va in clinica (dove lo operano per un'ulcera ed un' appendicite inesistenti) e tenta invano il suicidio. Poichè la moglie vuol passare con la piccola due mesi a Siusi, Marchi costretto dentro un busto consigliatogli poichè di fatto ha un rene mobile, resta nel caldo romano a tentar di scrivere il capitolo primo della propria autobiografia. Le sue manie e fobie continuano, anche sulle Alpi dove ha raggiunto la moglie. Il suo copione viene respinto, poichè il committente, nei guai con il fisco, si trasferisce altrove, lasciando a Marchi, per sdebitarsi, della terra coltivata ad uliveto in Calabria. Finalmente l'uomo si affida ad uno psicanalista, il cui responso è facile e assai rapido: alla radice del male esistenziale di Marchi vi è la figura paterna con il suo condizionamento e, ora che lo sa, tutto gli appare più chiaro e pensa di essere guarito. A questo punto apprende dalla moglie che lei lo tradisce da anni. Stando ormai così le cose, Giuseppe decide di andare a vivere da solo in una baracca fra gli ulivi calabresi, a zappare il suo orticello, da dove la sera vede al di là dello Stretto le luci della Sicilia, la terra in cui il padre, che ancora incombe nella memoria, era nato e vissuto.

Valutazione Pastorale

Il film evidenzia la nevrosi di uno scrittore, l'angoscia determinata dall'esistere, il difficile rapporto con la figura paterna, le frustrazioni personali. L'intellettuale somatizza paure e insuccessi, trasformando in mali immaginari e in dolori atroci quel malessere che lo attanaglia, pur sottoponendosi a terapie varie o cercando affetti rivelatisi vani. Fino all'accettazione della solitudine totale - lasciando dietro di sé e per sempre amanti, moglie, figlia e medici - per descrivere in una autobiografia incubi e fobie e analizzare per conto proprio i mille perchè di una vita condizionata: davanti alla bellezza del mare e guardando da lontano la terra della propria infanzia, nell'ossessione mai sopita dell' immagine paterna. È la cifra dell'operazione di Mario Monicelli a suscitare molti dubbi, poichè, malgrado una scrittura avveduta, il regista ha privilegiato i toni grotteschi, con frequenti incursioni nel farsesco. L'oscurità di quel male insidioso risulta quindi come svilita in una vicenda dove impera l'ironia e quasi la beffa, con venature amene, quasi che l'handicap possa fornir occasioni valide alla comicità. Vi manca la pietà. I mali pretestuosi, le contorsioni ed i gemiti di Giuseppe, puntuali dal minimo ostacolo che gli si pari davanti e che esprimono in strida la sua insicurezza e le sue frustrazioni, rischiano di non far capire e di far pensare soltanto ad isterie e stravaganze superficiali, a plateali sceneggiate. Il tema della figura paterna, della sua incombenza e del senso di colpa nell'erede, è solo pallidamente accennato: esso si perde, poi si ritrova, ma senza coerenza di scrittura, nè continuità narrativa. Le vere motivazioni dei male oscuro non sono approfondite con chiarezza. Lo stesso intervento terapeutico dello psicanalista appare sommario e scarsamente incisivo. La storia, insomma, è quella di una nevrosi da angoscia, ma gli autentici traumi, infantili o meno che siano, non vengono fuori: i mali fisici altro non sono che dei succedanei, utilizzati da Giuseppe per compensare sensi di colpa e per autocommiserarsi. Visto in chiave grottesca e ritmato in maniera percussiva, tutto questo finisce però con il far degradare una tematica seria in uno spettacolo che talvolta suscita il riso. Ad eccezione, ovviamente, del finale sconsolato, quando l'uomo, scelto l'eremitaggio, si limita a guardare di lontano le luci della costa siciliana, quelle stelle della propria infanzia. Rassegnato, sì, fors'anche pacificato, ma non certo guarito da quell'angoscia terribile che ne ha travagliata e resa inconcludente la vita. Il film di Monicelli sfiora l'iperrealismo, ha una buona costruzione, anche se a volte pecca di implausibili sbadataggini nei dettagli. Giova all'ottica scelta dal regista l' interpretazione di Giancarlo Giannini, che fa qui un Giuseppe furente e abbattuto, perfino clownesco e scolpito a tutto tondo.

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