
Sogg.: Liberamente tratto dal libro "Il polacco lavatore di vetri" di Edoardo Albinati - Scenegg.: Peter Del Mon- te, Sergio Bazzini, Dominik Wieczorkowski - Fotogr.: (Panoramica/a colori) Pasquale Mari - Mus.: Dario Lucantoni - Montagg.: Roberto Missiroli - Dur.: 94' - Produz.: P.F.A. Films
Interpreti e ruoli
Olek Mincer (Zygmunt), Agata Buzek (Justyna), Kim Rossi Stuart (Rafal), Andrzej Grabowski (Pawel), Grazyna Wolszak (Helena), Romuald Andrzey Klos (Janusz), Eljana Nikolova Popova (Irina), Victor Cavallo, Marco Lucarelli, Gabriele Bocciarelli, Stefano Burczyk, Sergio Boccalatte, Lavinia Gulielman, Valentina Emeri
Soggetto
Alla fine degli anni Ottanta una famiglia polacca arriva a Roma in attesa di ottenere il visto per il Canada. Per la sopravvivenza quotidiana, tutti si ingegnano in piccole attività. Il capofamiglia, Janusz, lava i vetri delle macchine insieme al fratello Zygmunt e al figlio Rafal. Helena, la sua nuova compagna, e la figlia Justyna vengono assunte per lavori domestici da una famiglia. Improvvisamente Janusz scompare senza lasciare traccia di sé. Di fronte a questo episodio, Zigmunt si dà all'alcool e, mentre vagabonda sotto i ponti, vede apparirgli il Papa che gli parla e lo rimprovera. Un altro polacco da tempo a Roma, Pawel, fa entrare Rafal, giovane e introverso, in un giro di piccola delinquenza. Durante uno di questi 'lavoretti', esplodono contrasti e violenza, e Rafal finisce con l'uccidere un boss napoletano. Justyna, mentre torna a casa di sera, viene avvicinata da alcuni ragazzi che le offrono un passaggio. Quando capisce le loro vere intenzioni, Justyna scappa ma cade a terra e muore. Poco dopo ad uno dei suoi inseguitori, il più giovane ed addolorato, riappare in cielo sopra Castel Sant 'Angelo. Intanto Rafal si è rifugiato a casa di una prostituta conosciuta tempo prima. Le deruba un po' di cose e poi va via. Zigmunt, sempre nell'ebrezza dell'alcool, sogna di essere a casa, in un locale dove si mangia e si balla allegramente.
Valutazione Pastorale
muovendosi tra dati reali che la cronaca registra tutti i giorni (gli immigrati, le loro difficoltà, i lavori cui si adattano, il mantenimento della loro identità) e una dimensione quasi onirica che trascende il quotidiano, il film si pone come una allegoria sulle fatiche, il dolore, il dubbio, la nostalgia che avvolgono le persone fuori dal proprio ambiente naturale. Potrebbe essere il tentativo di raccontare una fiaba con immagini simboliche. Tutto viene visto attraverso la lente di uno stato d'innocenza che certe volte coglie nel segno, certe altre risulta un po' forzato e stiracchiato. C'è il folle che dice alcune verità, c'è uno sguardo in certi momenti pessimistico sul futuro, c'è una poesia disperata e confusa, c'è soprattutto il senso di una religiosità astratta ma sincera. Il discorso sulla fede e sul perdono è discontinuo, ingenuo, approssimativo ma anche concreto e sostanzioso. Film confuso, dunque, forse irrisolto per i troppi elementi che mette in campo, eppure da vedere per il modo anche nuovo e originale con cui osserva, sotto il profilo della ballata appunto, il mondo, esteriore e interiore, di questo gruppo di immigrati, e di tutti quelli che vivono la loro stessa condizione. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come discutibile nella sua complessità e da consigliare per dibattiti. Utilizzazione: il film è da utilizzare in programmazione ordinaria, sia pure tenendo presente la sua forma narrativa senz'altro particolare. Da proporre in altri contesti, come esempio di film italiano a metà tra realismo e fantasia, che suggerisce riflessioni su temi attuali quali: gli immigrati in Italia, i rapporti tra culture, la perdita di identità.