L’ASSASSINO DELLO ZAR ***

Valutazione
Accettabile, Complesso, Dibattiti
Tematica
Genere
Drammatico
Regia
Karen Shakhanazarov
Durata
102'
Anno di uscita
1991
Nazionalità
Gran Bretagna
Titolo Originale
ASSASSIN OF THE TSAR
Distribuzione
Academy Pictures
Soggetto e Sceneggiatura
Alexander Boradyansky, Karen Shakhazarov
Musiche
John Altman
Montaggio
Anthony Sloman, Lidia Milioti

Sogg. e Scenegg.: Alexander Boradyansky, Karen Shakhazarov - Fotogr.: (normale/a colori) Nikolai Nemolyaev - Mus.: John Altman - Montagg.: Anthony Sloman, Lidia Milioti - Dur.: 102' - Produz.: Christopher Gawor, Erik Valsberg, Anthony Sloman, Ben Brahms

Interpreti e ruoli

Malcolm Mc Dowell (Timofeyen/Yurovsky), Aleg Yankovsky (Smirnov/Zar Nicola II), Armen Dzhigarkhanyan (Alexander Yegorovich), Yuri Sherstnyov (Kozlov), Angela Ptashuk (Marina), Victor Seferon (Voikov), Olga Antonova (Alexandra), Daria Mayorova, Eugenia Kryukova, Alena Teremezova, Olga Borisova, Alexei Logunov

Soggetto

l'anziano Timofeyev, attualmente ricoverato in un ospedale psichiatrico di Mosca, è convinto di essere l'assassino dello zar Alessandro Il, ucciso nel 1881, e del nipote di questi, lo zar Nicola II, trucidato con tutta la famiglia nel 1918, perché il tre marzo di ogni anno gli si forma una lesione da strangolamento e nel mese di agosto accusa violenti dolori allo stomaco come se rivivesse l'impiccagione del colpevole del primo omicidio e la morte per ulcera perforata di Yakov Yurovsky, il responsabile di quel massacro. Interessato al caso del suo paziente, il dottor Smirnov per assecondare la follia di Timofeyev finge di credergli e assume le sembianze dello zar Nicola II, convinto che il malato, scoprendo che la sua presunta vittima è un uomo vivo, possa così guarire. A poco a poco il medico si accorge di venir a sua volta invischiato in un analogo processo, ed arriva a provare le emozioni ed a somatizzare anche le patologie di Alessandro II, e mentre invano Yegorovich tenta di farlo desistere dall'esperimento, il Dottor Smirnov e Timofeyev si identificano nei loro personaggi al punto da interrogarsi sui rispettivi ruoli ed emozioni nella tragica vicenda. Mentre il malato sembra accettare, rassegnato, la sua pazzia, il medico comincia a deperire a vista d'occhio. Smirnov si reca addirittura nell'antica Ekaterinenburg, dove avvenne l'eccidio della famiglia dello zar; prende alloggio in un albergo, e vaga alla ricerca di ricordi ed emozioni che rivive con un'identificazione totale, mentre in parallelo Timofeyev vive le stesse tragiche ore con altrettanta lucidità. Nell'anniversario dell'uccisione di Nicola II il medico muore, mentre il malato prosegue, in condizioni apparentemente immutate, la terapia nell'ospedale psichiatrico.

Valutazione Pastorale

il quadrilatero psicologico che ha per vertice il malato-rivoluzionario e il medico-Zar, e che, trasformato in vorticosa ruota (la svastika che la figlia del "tiranno" disegna sulla parete nella "casa della morte", travolge le esistenze e le coscienze dei protagonisti, serve al regista come specchio ove riflettere, alternando le immagini del passato con quelle odierne, i disagi psicologici e sociali della Russia in preda a rimorsi collettivi assai profondi. L'ambiguità del processo che nel '17 voleva liberare la Russia dalla tirannide ben si delinea nella schizofrenia di Timofeyev, da un lato spietato esecutore di un efferato massacro e dall'altro preoccupato fino all'ultimo istante della sua vita dal ricordo di una bambina scomparsa in quel tragico agosto 1918. Così come viene spontaneo pensare all'ambiguità del Soviet Supremo, con i suoi stermini di massa, i suoi gulag, le sue "cliniche" per intellettuali dissidenti, ma sollecito e persino premuroso con certi settori sociali (infanzia, anziani, malati mentali "autentici"). Un altro sottile parallelo disegna abilmente il regista tra l'eliminazione cruenta dell'Antico Regime da parte dei Bolscevichi, e l'autocollasso odierno del Potere, simbolizzato dal medico, incapace di liberarsi da un'identificazione imperialista (non a caso è il sosia dello zar), che lo porterà all'autoannientamento. Resta la sconsolata realtà del Popolo sovietico, il malato, impastoiato da sequenze esistenziali da catena di montaggio. Morte da un pezzo le utopie del '17 o i furori eroici di Stakanov ed epigoni, i sovietici sono, sembra suggerire il regista, come i ricoverati dell'ultima sequenza del film, che avvitano bulloni con aria inebetita: essi hanno perduto la loro identità di uomini, consegnando la loro anima alla prigione di un perverso meccanismo ad ingranaggi che a poco a poco ha finito col vanificare le loro energie vitali. Valide l'interpretazione e l'ambientazione.

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