Film di apertura in Concorso della 79a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2022)
Interpreti e ruoli
Adam Driver (Jack Gladney), Greta Gerwig (Babette Gladney), Don Cheadle (Murray Siskind), Raffey Cassidy . (Denise), André Benjamin (Elliot Lasher), Sam Nivola (Heinrich), May Nivola (Steffie), Jodie Turner-Smith (Winnie Richards), Lars Eidinger (Arlo Shell), Logan Fry (Helmet Dackel), Francis Jue (Chester Lu), J. David Hinze (Herr Dokter), Allen Michael Harris (Ufficiale di Polizia), Barbara Sukowa (Suor Hermann Marie), Maggie Loughran (Suor Hildegard), Kenneth Lonergan (Dottor Hookstratten)
Soggetto
Stati Uniti, anni ’70-’80. Jack è un professore universitario specializzato in studi hitleriani, che affascina per la sua ars oratoria. È sposato, al quarto matrimonio, con Babette e insieme hanno quattro figli. Il deragliamento di un treno che porta sostanze chimiche e il conseguente incendio produce una pericolosa nube tossica che costringe gli abitanti della zona, compresi Jack e famiglia, ad abbandonare casa. Una corsa contro il tempo che si snoda in chiave tragicomica. Il drammatico evento diventa l’occasione, per Jack e Babette, per uno sguardo introspettivo, facendo emergere paure e irrisolti.
Valutazione Pastorale
È targato Netflix “White Noise”, il film di apertura di Venezia79 firmato dal newyorkese Noah Baumbach (tra i suoi successi “Storia di un matrimonio – Marriage Story” del 2019, presentato proprio al Lido). Tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, “White Noise” è un racconto che ci parla dell’America di ieri, ma si fa al contempo potente e disorientante metafora del nostro presente: al di là delle sfide poste da calamità o catastrofi, l’uomo si scopre più che mai fragile dinanzi ai grandi quesiti esistenziali come il senso della vita, la morte e l’Aldilà.
La storia. Stati Uniti, anni ’70-’80. Jack (Adam Driver) è un professore universitario specializzato in studi hitleriani, che affascina per la sua ars oratoria. È sposato, al quarto matrimonio, con Babette (Greta Gerwig) e insieme hanno quattro figli. Il deragliamento di un treno che porta sostanze chimiche e il conseguente incendio produce una pericolosa nube tossica che costringe gli abitanti della zona, compresi Jack e famiglia, ad abbandonare casa. Una corsa contro il tempo che si snoda in chiave tragicomica. Il drammatico evento diventa l’occasione, per Jack e Babette, per uno sguardo introspettivo, facendo emergere paure e irrisolti.
Metafora strampalata in cerca di senso. “Ho letto il romanzo di Don DeLillo all’università, alla fine degli anni Ottanta e mi è sembrato come se fosse adesso”. Così indica il regista Baumbach nelle note stampa di “White Noise”, aggiungendo: “Ho deciso di adattare il libro perché volevo fare un film che fosse folle come il mondo mi appariva. Non è solo il ritratto di un Paese, è anche la storia di una famiglia, del caos che cerca di nascondere, dei disastri da cui vengono travolti, del modo in cui fanno squadra e sopravvivono”.
Il tracciato dunque è chiaro, un sentiero che parte dalle suggestioni sociali dello scrittore Don DeLillo. Baumbach lo rielabora, curando anche la sceneggiatura oltre che la regia, dando forma dunque alla sua America, a quel caleidoscopio di paure, fragilità e smarrimenti collettivi e individuali che la popolano. E sullo sfondo di eventi sfidanti, più grandi come possono essere pandemia, guerra o disastri ambientali, l’uomo si ritrova solo con se stesso, allo specchio, chiamato a intraprendere una ricerca di senso e, se possibile, di salvezza.
Anzitutto Jack, l’accademico, che Adam Driver, attore di riferimento di Baumbach – lavora con lui dai tempi di “Frances Ha” del 2012 e con “Marriage Story” ha ottenuto nel 2020 la sua prima candidatura all’Oscar come attore protagonista – è un intellettuale ossessionato dalla morte e dalla corruzione della vita consumistica. Concentrato nel rileggere le fratture della Storia, i comportamenti delle masse che hanno partorito il mito di Hitler in Germania – si veda il curioso parallelismo con la mitizzazione di Elvis Presley negli USA –, è sostanzialmente distratto nei confronti dei figli e della moglie Baba, Babette, che Greta Gerwig restituisce con delicata leggerezza. La donna di nascosto fa uso di farmaci, di psicofarmaci, per placare una depressione ruggente, generata da paure impalpabili.
Così, in una rocambolesca e confusionaria corsa verso la salvezza, tirata a ben vedere un po’ per le lunghe, i due coniugi rispolverano la verità del loro dialogo, si guardano negli occhi e confidano le reciproche ansie sul domani, spingendosi sulla soglia vita-morte. Un interrogarsi che sfiora la fede – non sembra però esserci spazio per la religione, descritta con disincanto in un fugace incontro della coppia con una suora del tutto pragmatica e cinica –, ma che poi tira dritto verso altre rotte.
Una famiglia che comunque prova a tenersi in piedi, a rimanere unita, abbandonandosi a speranze effimere e anestetizzanti. In questo il supermercato è l’emblema del paese dei balocchi, un luogo di pace apparente, di distrazione di massa. Da applausi la sequenza di ballo corale che impreziosisce i titoli di coda, che richiama non poco l’apertura di “La La Land” (2016), un’istantanea del sogno americano capovolto e deformante. Nel complesso, “White Noise” è un film acuto, brillante e feroce, che sceglie il sentiero della follia per attutire la drammaticità dei disagi dilaganti nella società occidentale odierna. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
Utilizzazione
Indicato per la programmazione ordinaria e per successive occasioni di dibattito